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Tra roma e bruxelles

Chi vince, chi perde. Le asticelle europee di Meloni e Schlein

Claudio Cerasa

Riuscirà la premier a dimostrare che l’onda meloniana non si è esaurita? Riuscirà la segretaria dem a dimostrare che la sua leadership non si è esaurita  prima di essere nata? E gli altri partiti? Numeri per orientarsi in una sfida elettorale che è anche molto italiana

In fondo è tutto un gioco di asticelle. Le elezioni si avvicinano, i candidati compulsano i sondaggi, i leader fanno i loro calcoli, le minoranze coltivano le loro speranze, le opposizioni sognano miracoli e alla fine è tutta una questione di numeri, di dati, di percentuali, di statistiche e di domande complicate da governare. Proviamo a sintetizzarle. Primo: qual è l’asticella sotto la quale Meloni perde e sopra la quale Meloni vince? Secondo: qual è l’asticella sotto la quale la maggioranza perde e sopra la quale la maggioranza vince? Terzo: qual è l’asticella sopra la quale Elly Schlein vince e sotto la quale il Pd perde?

Andiamo con ordine e proviamo magicamente a orientarci in questo piccolo gioco. La caratteristica delle elezioni europee, come in verità buona parte di ogni tornata elettorale, è che tutti i partiti, quando sono ai blocchi di partenza, cercano di trovare un modo per poter affermare con disinvoltura, all’indomani del voto, che a prescindere dall’esito finale chi ha davvero perso è qualcun altro. E dunque eccoci alle prime asticelle.

 

Nel Partito democratico, in queste ore, i sondaggi che danno il Pd più in alto del previsto vengono osservati con terrore perché il rischio di quei sondaggi è che pongano il Pd troppo in alto rispetto alla realtà e avere aspettative alte non è una tecnica che aiuta chi vuole provare ad affermare che comunque andranno le cose un po’ si è vinto. I vertici del Pd, per questa ragione, hanno l’ordine di dire ai giornalisti che glielo chiedono che Schlein considera una vittoria qualsiasi affermazione superiore al 19 per cento, percentuale raggiunta dal Pd alle politiche. Si tratta, a proposito di asticelle, di una percentuale bassa, se si pensa che cinque anni fa, quando il Pd andò particolarmente male alle europee, prese il 22 per cento, ma da quella percentuale si parte, per poter dire abbiamo vinto, anche nel caso in cui fosse evidente il contrario.

Accanto al Pd, vi è il Movimento 5 stelle che, terrorizzato dagli ultimi sondaggi diffondibili, quelli che davano il M5s al 15,9 per cento, ai giornalisti, in queste ore, fa sapere che: no, i sondaggi ci danno troppo in alto, il nostro bacino elettorale è al sud, il sud alle europee vota poco e noi onestamente ci accontenteremmo oggi, in elezioni che non ci hanno mai visto particolarmente pimpanti, di superare la doppia cifra. E dunque: via con lo spin.

Storia diversa a destra, dove il gioco delle asticelle ha una dimensione diversa. C’è un’asticella che riguarda gli junior partner di Meloni e c’è un’asticella che riguarda il partito guida della coalizione. L’asticella che riguarda Forza Italia e la Lega è minima: chi è avanti vince le proprie elezioni. Forza Italia, che alle regionali è andata bene in Sardegna, in Abruzzo, in Basilicata, dove ha regolarmente superato la Lega, ha alimentato l’idea del sorpasso, non riuscito alle politiche dove la Lega era arrivata all’8,9 per cento mentre Forza Italia si era fermata all’8,3 per cento. L’asticella da superare, per Antonio Tajani – che avendo messo nel simbolo elettorale di Forza Italia la scritta “Berlusconi presidente” non si capisce perché non abbia voluto seguire l’esempio di Giorgia Meloni (detta Giorgia) dando la possibilità di far scrivere agli elettori un Antonio Tajani detto Silvio o un Antonio Tajani detto Cavaliere – è quella del 2022 (8,3 per cento) che non è tanto diversa da quella del 2019 (8,8 per cento) e lo stesso vale per la Lega che punta a non allontanarsi dall’8,9 per cento del 2022 per evitare di ricordare il 34 per cento del 2019.

Le asticelle valgono quello che valgono ma quella forse più interessante da mettere a fuoco, e anche la più inedita, è l’asticella che riguarda il partito della premier. Meloni considera l’asticella della vittoria a quota 26 per cento, la stessa percentuale cioè raggiunta alle elezioni del 2022, ma il calcolo fatto dalla premier presenta un difetto: nelle ultime elezioni europee, i partiti di governo hanno spesso guadagnato qualcosa rispetto alle elezioni precedenti e se Meloni non dovesse riuscire a guadagnare qualcosa si porrebbe un tema non da poco. Esempi. La Lega nel 2018 (politiche) prese il 17 per cento. La Lega nel 2019 (europee) prese il 34 per cento. Il Pd nel 2013 (politiche) prese il 25 per cento. Il Pd nel 2014 (europee) prese il 40,8 per cento. I massimi dirigenti del Pd, quelli che hanno più dimestichezza con i sondaggi, dicono che un buon risultato, per l’opposizione, coinciderebbe con un non sfondamento da parte di Meloni di quota trenta per cento ma l’asticella psicologica che la premier si è fissata è importante non solo per questioni di carattere strategico (abbiamo vinto? E se sì, quanto abbiamo vinto e quanto abbiamo preso più degli altri?) ma anche per questioni di carattere psicologico.

Finora, se ci si pensa un istante, Meloni, nel suo primo anno e mezzo al governo, non ha attraversato alcuna fase di difficoltà vera, concreta, e ha visto costantemente, tranne in Sardegna, una coincidenza tra i propri obiettivi e il proprio consenso. Ma se il consenso dovesse iniziare a scendere mostrando alla premier un segno meno, come reagirebbe Meloni? Continuerebbe, come se nulla fosse, ad avvicinarsi al mainstream europeista, con i fatti, riservandosi di coccolare i propri elettori con le battaglie del passato solo durante i comizi, o si sentirebbe in dovere di cambiare strategia per recuperare il consenso perso? E se a prevalere, tra i partner di governo, dovesse essere la Lega e non Forza Italia, siamo sicuri che Meloni resisterebbe alla tentazione di considerare la destra più estrema il terreno giusto su cui competere al governo per non perdere altri voti?

E’ tutto un gioco di asticelle, naturalmente, un gioco di asticelle dove la dimensione nazionale, alle europee, in Italia conta infinitamente di più della dimensione europea, e non è un caso se l’Italia è l’unico tra i grandi paesi europei dove quasi tutti i leader di partito, pur non volendo andare in Europa, alla fine si sono candidati, per pesare sé stessi, per dare linfa ai propri partiti e mostrare agli avversari chi ce l’ha più lungo, il consenso. Ma nel gioco delle asticelle ci sono almeno altri due fattori da considerare. Il primo, naturalmente, riguarda il centro, riguarda la galassia caotica dei partiti centristi, e riguarda il numero che i tre protagonisti della storia, Italia viva, Più Europa, Azione, realizzeranno sommando sé stessi. Se quel numero sarà superiore all’8 per cento raggiunto dal vecchio Terzo polo, le possibilità che alle politiche si vada tutti insieme aumenteranno (specie se quel numero non dovesse essere così distante dal numero che otterrà il M5s). Ma se tutti i partiti del centro supereranno la soglia di sbarramento (4 per cento), siamo sicuri che sia una buona notizia per chi sogna che tutti i partiti centristi corrano uniti quando arriverà il momento della verità? Un’asticella, quella del centro, guarda verso il basso. Un’altra, più ambiziosa, guarda verso l’alto, ed è l’asticella che i partiti d’opposizione guarderanno con più attenzione: quella che riguarda la somma che i partiti non di governo otterranno sommando tutte le percentuali. Alle politiche, i partiti rimasti fuori dal governo totalizzarono il 48,7 per cento. Se quella percentuale dovesse superare il 50 per cento, le opposizioni potrebbero cantare vittoria. La canteranno lo stesso, ovviamente, comunque andrà. La canteranno lo stesso perché le possibilità che le europee cambino qualcosa rispetto allo status quo politico dell’Italia sono minime. Ma alla fine dei conti le europee ci consegneranno un equilibrio dove ciò che avrà davvero importanza coinciderà con le percentuali delle due donne al centro della contesa.

E le domande da tenere sul tavolo, da qui ai prossimi giorni, sono due. Riuscirà Meloni a dimostrare che l’onda meloniana non si è esaurita? E riuscirà Schlein a dimostrare che la sua leadership non si è esaurita ancor prima di essere nata? E’ un gioco di asticelle, certo, ma dietro questo gioco c’è tutto. C’è il futuro delle leader, c’è il futuro dell’opposizione, c’è il futuro del governo, c’è la direzione futura che prenderà il principale partito dell’opposizione (che succede se i candidati anti Nato vanno bene?), che prenderà il principale partito della maggioranza (che succede se la competizione al centro diventa una chimera?) e che prenderà il capo del governo. Il tema è tutto lì: come reagirebbe Meloni di fronte a una difficoltà? When in trouble, go big o go to complottism? Popcorn per tutti.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.