Generale chi?
Il grande freddo della Liga: boicotta Vannacci e studia un Veneto senza Salvini
Zero assessori, un candidato alle europee su 15, tre consiglieri su 31 presenti al comizio elettorale di Milano: così l’area Zaia (con Zaia in testa) guarda già oltre, quando le urne decreteranno il futuro del leghismo. E chi resta a casa percula il generale
Pare che in Veneto siano fioccate strane telefonate da via Bellerio per tutta la settimana scorsa. “Buongiorno assessore, possiamo contare su di lei per la chiusura di campagna elettorale del Carroccio il 1° giugno a Milano?”. Silenzio. Stessa domanda a consiglieri regionali, militanti storici, amministratori locali. E ai candidati alle europee, naturalmente. Sempre la stessa risposta: marameo. A sentir sproloquiare Vannacci ci vadano gli altri. A veder sprofondare la Lega, non si macchi la Liga. Si preannunciava un’accoglienza tiepida, dopo la frattura ormai abissale fra territorio e vertici del partito. S’è rivelato il grande freddo. Presenti zero assessori veneti su 8. Zero capigruppo dai palazzi della regione. Tre consiglieri su 31: meno del 10 per cento. Grandi sindaci? Non pervenuti. E uno soltanto – l’europarlamentare uscente Paolo Borchia, salviniano a oltranza – perfino fra i 15 nomi oggi in corsa per Bruxelles. Mentre Luca Zaia, forzato sul palco dal protocollo interno, trasudava disagio da ogni poro. È la voragine da nordest, che presto risucchierà tutto il resto.
Loro, il generale e il capitano, invece vanno dritti col loro treno. “Siamo tantissimi”, traboccano di euforia al comizio. Peccato che Piazza Duomo non trabocchi affatto: giusto l’angolino con Corso Vittorio Emanuele, pompato e messo in ghingheri. Dietro le quinte tutt’altra verità. Sono gli stessi addetti lavori a prenderne atto: i pullmini allestiti per il grande evento, da tutta Italia, sono mezzi vuoti. L’appello ai politici è stato un flop. Salvini ha obbligato all’adunata i governatori e i parlamentari del Carroccio. Oltre non poteva spingersi. “Applaudire prima di ascoltare un intervento è come firmare una cambiale in bianco”, dice Zaia scuro in volto, a proposito di Vannacci. “L’ho salutato perché mia madre mi ha educato a salutare tutti”. Sottinteso, parafrasano dal suo quartier generale: anche i disgraziati. Il doge a Milano ha rifilato frecciatine in serie. Alla sua maniera, certamente. Scaltre. Ma nemmeno troppo velate. “Generale? Non conosco nemmeno la canzone. La Lega andrà bene? So solo che andrà bene il Veneto”. E poi, a freddo, via social: “L’8 e il 9 giugno andiamo a tutti votare, perché il Veneto e l’Italia siano rappresentati da chi vuole davvero difendere la nostra terra”. Altro messaggio in codice, per chi ha orecchie per intendere: quel ‘davvero’ significa non questa Lega alla deriva.
E così, mentre il pomeriggio vannacciano deturpa nell’ordine Bob Dylan, John Lennon, De Gregori e Il Gladiatore, i leghisti da casa si gustano lo show. Grosse pernacchie, proprio. “Tra poco tirerà fuori i balilla dicendo che parlava del calcio-balilla…”, posta su Facebook Gian Marco Centinaio (lombardo, vicepresidente del Senato: mica un serenissimo dentro il tanko). Roberto Marcato, assessore di Zaia sul piede di guerra, commenta con tre faccine che piangono dalle risate. Altri si accodano. Si sfregano le mani. Sono pronti al varco. E non potrebbe essere altrimenti: al leghismo antifascista – come quello delle origini, di Marcato e soci – le spudorate apologie alla Decima Mas danno il voltastomaco. Sembra riecheggiare una milanesissima canzone scampata allo scempio sovranista: “Fa tanto freddo e schifo e non ne posso più”. Luci a San Marco, intonata un po’ più a est. Dove il piano d’azione è già tracciato: il 9 giugno data spartiacque. In caso di flop elettorale, si alzerà la voce per cambiare la Lega a partire da Salvini. In caso di effetto Vannacci alle urne, certa Lega semplicemente verrà meno. Guarderà altrove, vestirà altro, portandosi via intanto una regione intera. Poi chissà. Prima di muovere guerra – e per questo aspetta ancora –, Zaia vuole assicurarsi di averla vinta. Vannacci invece esorta a “scatenare l’inferno” per timore di non poterlo fare più. Generale sicuro, usurpatore forse, doge mai. Su questo la Liga ci mette la faccia.