Il racconto
Piantedosi d'Italia: così il ministro dell'Interno indicato da Salvini è sempre più vicino a Meloni
Il titolare del Viminale: "Chi voterò alle europee? Non le rispondo nemmeno sotto tortura". La lenta mutazione del prefetto sempre più nel cerchio magico di Fratelli d'Italia. A scapito del leader del Caroccio che lo scelse
“Non le risponderò nemmeno sotto tortura”. Quirinale, esterno notte (quasi). E’ sabato. Il ricevimento per la Festa della Repubblica si avvia al termine, nei giardini del Colle volano gli ultimi brindisi. Matteo Piantedosi si avvia sereno verso l’uscita dove lo saluteranno i corazzieri con tutti gli onori. Dopo un’amabile conversazione sulla situazione migranti, sulla sua passione per le passeggiate in bicicletta (con sgambate di 100 chilometri da Avellino al Beneventano), la lingua batte sulla curiosità. Per quale partito voterà alle prossime europee il ministro dell’Interno? La cortese, ma mancata risposta del titolare del Viminale al Foglio apre un piccolo abisso su un fatto che tutti ormai raccontano con molta frequenza dentro e fuori dal Palazzo. L’ex capo di gabinetto del ministro Salvini, colui che scrisse materialmente i dl Sicurezza, negli ultimi mesi si è avvicinato sempre di più a Meloni. Bye bye Capitano?
Piantedosi dopo un debutto complicato, culminato con la tragedia comunicativa di Cutro, si è rifatto il look. Si è costruito innanzitutto un’ottima reputazione sui social network, rendendo vivace e meno ingessato l’account del suo ministero, fra realtù e propaganda. Soprattutto, riunione dopo riunione, nel tempo ha creato un rapporto forte, personale e diretto con la premier. Anche per le nomine.
Certo, tutto rientra nella normale dialettica e collaborazione fra un presidente del Consiglio e un titolare del Viminale. Solo che con il passare del tempo l’intesa fra i due si è fatta sempre più forte e politica. Dal Patto sulla migrazione e asilo, iniziato da Piantedosi con i suoi omologhi in Lussemburgo e bollinato dalla premier a Bruxelles, fino alla gestione della complicato dossier dei migranti in Albania. In entrambi i casi la Lega di Salvini si è defilata: in Europa ha votato contro il patto, in Italia da un bel pezzo ha deciso di non parlare più di migranti, una volta specialità della casa del Carroccio. Il ministro dell’Interno con grazia e senza strappi è passato dall’essere percepito come un tecnico d’area indicato dalla Lega a un tecnico di centrodestra molto vicino alla leader di Fratelli d’Italia. Si fa il suo nome come governatore della Campania. “Non ci penso assolutamente: mi piace il mio mestiere”, risponde al Foglio. E si fa il suo nome anche come candidato presidente dell’Emilia Romagna visto che è stato anche prefetto (molto stimato e trasversale) di Bologna. Piantedosi si fa una risata.
Agli amici ha confidato con una punta di normale vanità di essere per gradimento, secondo i sondaggi, fra i tre ministri più apprezzati dagli italiani in compagnia di Guido Crosetto e Antonio Tajani. Il resto lo fa la sua capacità di non arrivare mai allo scontro con Salvini, che lo propose alla premier quando capì che non sarebbe ritornato al Viminale, e il suo lento ma progressivo avvicinamento alla leader di Fratelli d’Italia. Un rapporto da tenersi molto stretto per chi sulla carta, ma solo su quella, non ha un partito dietro alle spalle in una posizione così delicata. Lui ride: “Sono un uomo delle istituzioni”. E un democristiano nell’anima.