Tele senza Meloni

Perché la premier va su Rai e Mediaset ma rifiuta di farsi intervistare da La7?

“Non ho fatto campagna elettorale” perché “avevo promesso che non avrei tolto un minuto all’attività di governo”, ha detto Giorgia Meloni a Quarta Repubblica durante la sua campagna elettorale. Intervistata da Nicola Porro, la premier ha  aggiunto: “La Rai deve essere plurale, deve dare spazio a tutti. In passato noi non abbiamo avuto una Rai che dava spazio a tutti”, ricordando di quando il suo partito era ostracizzato: “L’ho vista la censura, ho visto cos’era far parte di chi non stava nella ristretta cerchia di quelli che comandavano”.

 

Queste parole aprono, però, una riflessione non tanto sulle scelte editoriali della Rai, ma su quelle della premier. Proprio in nome del pluralismo che rivendica come valore e che le sarebbe stato negato quando  era all’opposizione, non si comprende il criterio  con cui selezioni le emittenti e i giornalisti attraverso cui parlare agli elettori. Finora Meloni si è fatta intervistare in tv da Bruno Vespa su Rai 1, che rappresenta la famosa “Terza Camera”, e da Paolo del Debbio (che lei chiama per nome) su Rete 4. Ieri di nuovo a Mediaset da  Porro, oggi ad Agorà su Rai 3 da Roberto Inciocchi. Tutti seri professionisti amici, o quantomeno non ostili. Niente di male. Ma non è chiaro  perché la premier rifiuti di farsi intervistare da La7, dove ci sono  professionisti come Enrico Mentana, Lilli Gruber, Giovanni Floris o Corrado Formigli. Certo, sono  meno amici, in alcuni casi apertamente ostili. Ma non è proprio questo il sale della democrazia?

 

Meloni dice di non volersi sottrarre al confronto e in effetti ha parlato a platee difficili, come  il congresso della Cgil. A maggior ragione è inspiegabile questo  embargo a una tv nazionale che fa approfondimento e informazione, che peraltro costringe la Meloni a rivolgersi ai telespettatori di La7 attraverso messaggi preconfezionati. Un comportamento che mostra un’insicurezza e che non si addice alla sua immagine combattiva. Silvio Berlusconi non esitò in campagna elettorale ad affrontare Michele Santoro e Marco Travaglio nella loro arena, certamente molto più cruenta di quelle attuali.

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