Il caso

Il caso Nordio, le accuse di Crosetto, i veleni su Donzelli: le guerre nel regno di Meloni

Simone Canettieri

Nel segreto delle stanze di Fratelli d'Italia la tensione si taglia con il coltello. Colpa della tensione elettorale e di un partito che non riesce ad aprirsi all'esterno e parla solo un lessico famigliare

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio, 77 anni, che viene respinto da Augusta Montaruli: “Qui entrano solo gli accreditati e lo staff”, dice la deputata di FdI a un accaldato Guardasigilli (che poi chiederà a una giornalista di “Piazzapulita” se gli porta uno Spritz: rimbalzato anche in questo caso). Deputati romani della Fiamma magica che sempre sabato a piazza del Popolo vorrebbero usufruire del bagno, nel retropalco, ma vengono controllati a vista dai fedelissimi di Giovanni Donzelli: “Avete fatto?”. Il ministro della Difesa Guido Crosetto, cofondatore di FdI, che a questo giornale confida: “Alcuni ex giovani del mio partito, nati vecchi, mettono in giro cattiverie contro di me per via del mio garantismo, la mia libertà, la mia terzietà su alcuni temi”. Nel partito della nazione, scava scava, la tensione si taglia con il coltello.  
Sarà solo colpa dell’imminente sfida elettorale? C’è chi dice di no.

Promemoria: se c’è una cosa che Giorgia Meloni proprio non tollera è che qualcuno lavi i panni sporchi del partito fuori da Via della Scrofa 39. Intollerabile. “Noi non siamo il Pd”, ama ripetere.

E però da qualche tempo, complice la frenesia delle europee e il trasferimento della struttura politica a Palazzo Chigi, sono in molti a raccontarle mezze frasi, piccoli aneddoti, chiacchiere da prendere con le molle.

Gira, per esempio, la storia allucinante di “un brindisi alla pericardite di Crosetto” scattato  quando uscì la notizia del ricovero del ministro. Una roba orribile a cui nessuno vuole credere e che non trova conferme se non commenti indignati: “Sarebbe gravissimo”. 


E però anche tutti questi refoli  tossici  sono la spia di un clima agitato, in un partito che nella sua decennale storia non ha mai tanto amato aprirsi all’esterno.

Un partito che ha un lessico famigliare e che non vede di buon occhio chi contesta nel contesto, anche di una virgola, la linea (alzi la mano, per esempio, chi si ricorda in 18 mesi di governo una dichiarazione leggermente spettinata o dubbiosa nei confronti dell’operato di Meloni o dei vertici di FdI, al di là di Marcello Pera sul premierato, che ormai è un solitario battitore liberissimo).

Dopo Giorgia, il diluvio. Lo raccontano i candidati delle liste di Fratelli d’Italia per le europee. Quando la squadra al completo sabato è salita sul palco per la foto di gruppo al di là di Nicola Procaccini, Vittorio Sgarbi e Carlo Fidanza non c’erano volti noti, conosciuti o di richiamo, ma solo terminali di filiera politica territoriale.

Chi è il partito come Francesco Lollobrigida è molto cauto sul risultato che scaturirà dal voto di sabato e domenica. Chi ne ha viste di elezioni e piazze come il capogruppo alla Camera Tommaso Foti è pessimista: “Sarà dura arrivare al 26 per cento”, raccontava sabato ai colleghi.

Dentro Fratelli d’Italia sono preoccupati dall’astensione soprattutto al sud, territori dove Forza Italia è presente e vivace, Salvini ha schierato il generale Vannacci, il M5s di Conte ha uno storico insediamento elettorale e il Pd può contare su portatori di voti di primo piano. Sud e isole, angustiano Meloni, capolista ovunque anche detta “scrivi Giorgia”.  L’attesa del voto e qualche dubbio sulle liste fanno sì che stiano emergendo piccoli veleni su “chi nel partito ha preso troppo potere”. Storia già sentita.

Un indiziato su tutti: Giovanni Donzelli, efficiente stacanovista, responsabile dell’organizzazione, l’unico al di là dei romani ad aver costruito una rete di parlamentari che gli sono molto legati. Nessuna corrente, per carità. Ma rapporti privilegiati. Non a caso l’anno scorso – come rivelò il Foglio – la premier decise di affiancargli la sorella Arianna, promossa a capo della segreteria politica oltre che responsabile del tesseramento (la seconda nomina fu quella di Giovanbattista Fazzolari a coordinatore della comunicazione del governo).

“I rapporti fra Donze e Ari sono ottimi ci mancherebbe: vivono in simbiosi”. A strascico però la rete tira su veleni e ripicche, consegnati con il massimo riserbo e la scontata richiesta di anonimato. Ce l’avrà avuta dunque con Donzelli, Crosetto quando parlava di “ex giovani nati vecchi che spargono cattiverie?”. Impossibile saperne di più. Ma la frase resta e fa pensare. Così come va registrato il progressivo protagonismo di Arianna Meloni, che in questa campagna elettorale ha sfidato e vinto la proverbiale timidezza buttandosi in un lungo tour elettorale in giro per il paese, con una forte attenzione al sud. Ieri per esempio la sorella d’Italia ha comiziato in un hotel di Lecce in contemporanea e non distante dalla segretaria del Pd, anche lei nella città pugliese. In assenza di quello vero in tv, almeno a Lecce è andato in scena il confronto fra una Meloni e Schlein. Bisognerà pure accontentarsi, forse.
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.