magistratura diabolika
Il caso Signorelli è più una storia di abuso da parte dei pm che una storia di antisemitismo
Dietro il caso del portavoce del ministro Lollobrigida si cela un grave errore della procura di Roma, che ha permesso che una conversazione penalmente irrilevante fra una persona assassinata e un terzo non indagato finisse sulle pagine di un quotidiano
Paolo Signorelli, portavoce del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, si è autosospeso dall’incarico dopo la pubblicazione su Repubblica di alcune sue frasi, dal contenuto assai discutibile, estrapolate da alcune chat intercorse nel 2018-2019 fra lui e Fabrizio Piscitelli, detto Diabolik, capo ultras della Lazio e trafficante di droga assassinato a Roma il 7 agosto 2019. Le frasi di Signorelli hanno scatenato un caso politico. Tuttavia è da notare come il “caso” non sarebbe neanche emerso se la magistratura non si fosse resa responsabile di una palese violazione dei princìpi basilari che governano il processo penale.
La conversazione riportata da Repubblica è contenuta nella copia forense di uno dei telefonini di Piscitelli, agli atti dell’inchiesta che sta cercando di fare luce sul suo omicidio. Come è possibile che una conversazione, dal contenuto penalmente irrilevante, intercorsa fra una persona assassinata e un terzo non indagato sia finita sulle pagine di un quotidiano? Secondo quanto appreso dal Foglio, è tutto dovuto a un clamoroso errore commesso dalla procura di Roma, che sta conducendo il processo sull’omicidio di Piscitelli.
I pm Mario Palazzi e Rita Ceraso hanno prodotto in dibattimento la copia integrale della copia forense effettuata su uno degli smartphone sequestrati a Piscitelli, senza chiedere prima alla polizia giudiziaria di effettuare una valutazione dei dati penalmente rilevanti e quelli irrilevanti, estraendo soltanto i primi e invece chiedendo l’inutilizzabilità dei secondi, che non sono di interesse investigativo.
Attraverso questa procedura, richiesta non solo dal buon senso ma anche dai princìpi fondanti dell’ordinamento giuridico italiano e sovranazionale, i pm avrebbero evitato che dati privi di rilevanza penale potessero diventare oggetto di indebita diffusione, come è avvenuto, ai danni di privacy, reputazione e dignità di soggetti che non c’entrano nulla con l’indagine. Insomma, il “caso Signorelli” è prima di tutto un caso di malagiustizia. Qualcuno ne risponderà?