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L'editoriale del direttore

Ragioni per essere orgogliosi di ciò che ha fatto l'Europa negli ultimi 5 anni

Claudio Cerasa

Elogio di una campagna bellissima, dove i leader litigano sulle fesserie, i populisti fanno harakiri e gli antieuropeisti finiscono in mutande

Diceva Piero Calamandrei, in una delle sue frasi più famose, che la libertà è come l’aria: ci si accorge della sua importanza solo quando questa viene a mancare. L’Europa degli ultimi anni, l’Europa intesa come un insieme confuso, complicato, disordinato, irrisolto di realtà istituzionali che governano il nostro continente, si è trovata nella stessa identica condizione descritta anni fa da Calamandrei: tutto quello che considerava scontato, l’aria, la libertà, improvvisamente è iniziato a essere minacciato, e di fronte alle libertà violate, aggredite, insidiate, l’Europa non si può dire che sia rimasta la stessa.

Negli ultimi cinque anni, l’Europa ha fatto i conti con una pandemia, con una guerra, anzi con due, anzi con tre, se ci mettiamo dentro il Mar Rosso, e oltre a tutto questo ha dovuto far fronte, nell’ordine, a un collasso economico, a un’inflazione bestiale, a una crisi delle materie prime, a una crisi energetica, a una guerra indiretta contro la Russia, a una rivoluzione nell’approvvigionamento dell’energia. Nel 2019, alle ultime elezioni europee, in fase pre Calamandrei, ai partiti populisti era concesso quello che oggi non possono più permettersi: rivolgersi agli elettori offrendo risposte semplici a problemi complessi. I problemi complessi erano pochi e le risposte semplici potevano apparire seducenti, intriganti, utili per orientarsi facilmente in un mondo che appariva più complicato di quello che era. Cinque anni dopo, dopo tutto quello che è successo, gli elettori sanno che, rispetto al passato, di fronte ai partiti desiderosi di offrire risposte troppo semplici a problemi molto complessi occorre farsi qualche domanda in più. Gli elettori, per dire, abboccano meno del passato alla propaganda xenofoba (tutti i sondaggi indicano, tra le priorità degli elettori italiani in vista delle europee, molti temi, come sanità, lavoro, clima, ambiente, guerra, fisco, scuola, ma nessuno indica tra le priorità principali quella che vi era cinque anni fa: l’immigrazione). I partiti politici, per dire, non fanno più a gara a considerarsi i più populisti tra gli anti populisti ma, al contrario di cinque anni fa, fanno di tutto per dimostrare che i veri populisti vanno cercati negli altri partiti (meravigliosi i vecchi fascisti impegnati a dimostrare che i veri fascisti sono altri). E rispetto a cinque anni fa anche l’anti europeismo è cambiato. Prima la chiave era l’euroscetticismo: l’Europa è una gabbia, fa troppo, liberiamocene, usciamo. Oggi la chiave è lo scetticismo sull’Europa: quest’Europa, così com’è, non funziona perché non fa abbastanza per noi, non è abbastanza solidale, non è abbastanza generosa, non è abbastanza vicina alle nostre esigenze. Cinque anni fa, i nazionalisti dicevano: l’Europa deve fare di meno. Cinque anni dopo, i nazionalisti dicono: l’Europa deve fare di più. E in questi cinque anni, nel frattempo, qualcosa è stato fatto. E anche i partiti anti europeisti hanno dovuto fare i conti con i progressi dell’Europa. Negli ultimi cinque anni, l’Europa si è unita, mostrando progressiva efficienza, quando si è trattato di rifornire di vaccini il nostro continente. Si è unita, mostrando vera efficienza, quando è intervenuta sulla disoccupazione post pandemica, inventandosi uno strumento, il Sure, con cui per la prima volta è stato creato un debito comune. 

Si è unita, mostrando solidità, quando ha creato un debito comune ancora più grande, con il Next Generation Eu, dando vita a quella forma di solidarietà, in economia, che in passato era mancata e che ha messo a tacere anche tutti coloro che chiedono meno Europa (“Facce Tarzan”, direbbe oggi Alberto Sordi al sovranista di turno che con una mano prende soldi dall’Europa e con l’altra dice che schifo l’Europa). Si è unita, ancora, mostrando altra efficienza, quando si è trattato di sanzionare la Russia. Si è unita, mostrando poca velocità ma alla fine concretezza, quando ha cercato di trovare delle soluzioni per intervenire sui prezzi del gas, con il famoso tetto al prezzo del gas. Si è unita, mostrando coraggio, quando ha dovuto trovare delle alternative all’approvvigionamento del gas russo, e chi due anni fa diceva che le sanzioni alla Russia avrebbero indebolito l’Europa farebbe bene a chiedere a Gazprom, che ha chiuso per la prima volta in venticinque anni un bilancio in rosso, con un deficit di 6 miliardi e mezzo, chi ha guadagnato e chi no dalle sanzioni alla Russia. Si è unita, mostrando un primo tratto di coraggio, anche se non sufficiente, quando si è trattato, mesi fa, di parlare di migranti, di solidarietà, di nuovi princìpi da introdurre per evitare che siano solo i paesi di primo approdo a pagare il prezzo degli sbarchi. La ragione per cui in campagna elettorale si parla poco di Europa, e si parla più di sciocchezze, di folclore, di tappi delle bottiglie, è che ai partiti anti europeisti la campagna elettorale per le europee crea imbarazzi per ragioni evidenti. Tutto ciò che i populisti avevano trasformato in un sogno, la fine della globalizzazione, l’uscita dall’euro, l’avvicinamento alla Russia, il disgregamento dell’Europa, ha dimostrato di essere un incubo, in questi anni, e tutto ciò che i populisti avevano trasformato in un incubo, l’integrazione europea, la solidarietà europea, la sovranità europea, il mercato unico europeo, il rafforzamento del libero scambio, è diventato un vaccino, uno scudo con cui difendersi dai grandi pericoli della contemporaneità. E tutti coloro che i populisti avevano identificato come i grandi amici in Europa, i fratellini del continente, nel corso del tempo sono diventati simili a soggetti impresentabili, al punto che anche i sassi sanno che dopo il 9 giugno il partito che guida il governo italiano, Fratelli d’Italia, costruirà un accordo per votare lo stesso presidente della Commissione che voteranno il Pse (che governa in Germania e in Spagna) e i liberali europei (guidati dal partito di Macron). Ed è per questo che i socialisti dicono: mai governeremo con Ecr (ma non dicono, di solito, mai governeremo con Meloni).

Ed è per questo che Meloni dice: mai faremo un’alleanza strutturale con il Pse (ma non dicono: mai sceglieremo lo stesso presidente della Commissione che verrà votato dal Pse). Non si può dire che l’Europa sia ancora oggi il luogo dei sogni, se si pensa all’approccio ideologico avuto dalla Commissione europea sul Green deal, se si pensa all’incapacità delle istituzioni europee di creare occasioni utili per attrarre innovazione e non solo per regolamentarla, come succede con l’intelligenza artificiale, se si pensa, come ha sottolineato Mario Draghi, alle difficoltà incontrate dall’Europa nel riuscire a considerare la competizione tra i grandi del mondo una sfida più importante rispetto alla competizione tra i piccoli dell’Europa e se si pensa all’inesistenza dell’Europa quando si parla di difesa europea, e pensare ancora oggi che l’interesse europeo, quando sono iniziati gli attacchi nel Mar Rosso, è stato difeso da paesi non europei, come la Gran Bretagna e l’America, genera tutto tranne che un sentimento simile al buon umore. Ma nonostante questo si può dire che in questi anni, l’Europa, ha fatto tutto ciò che era necessario per crescere, per diventare più responsabile, per provare a essere più efficiente, per tentare con le sue poche forze di difendere una democrazia aggredita, come l’Ucraina, e vedere il presidente ucraino Zelensky alle celebrazioni del D-Day è un’immagine che da sola offre la giusta dimensione di cosa c’è in ballo in Europa oggi. E ha fatto di tutto, infine, l’Europa per mettere insieme un granello in più di solidarietà, in questi anni, e per arrivare alle sfide del futuro con lo spirito di chi guarda in avanti e non di chi, come cinque anni fa, guardava al passato, alimentando panico, terrore, paura, xenofobia e chiedendo all’Europa di fare quello a cui oggi credono solo Vannacci, Salvini e Le Pen: fare un po’ di meno e non un po’ di più. Si dice spesso che questa campagna elettorale, in Italia, è stata simile a un incubo ed è vero se si osserva la qualità del dibattito politico. Ma se poi si pensa alla campagna di cinque anni fa, a cos’era l’anti europeismo prima della fase Calamandrei, non si farà fatica a rendersi conto che avere una campagna elettorale in cui neppure gli anti europeisti riescono a essere fino in fondo contro l’Europa è la dimostrazione plastica che in fondo anche l’Europa è come l’aria: ci si accorge della sua importanza solo quando questa viene a mancare.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.