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Il Foglio Weekend

Spillolata e multipiattaforma: Tele Meloni è la tv che non ti aspetti

Michele Masneri

La presidente del Consiglio ha chiaramente dato prova d’essere la grande continuatrice non tanto di duci e ducetti ma del Sublime Intrattenitore, il Cav.

Comunque andranno queste elezioni, una cosa è chiara. Sia che Giorgia Meloni confermi i risultati sperati, sia che vada leggermente sopra o sotto, il dato andrà letto e interpretato come share e non come voto. Non si tratta di “cambiare l’Europa” come da vaste programme elettorale, ma di mantenere e implementare un palinsesto che oggettivamente è pazzesco. 

 

Negli ultimi mesi infatti non è importante se Meloni abbia dato prova di “fitness”  di stato – ricordate la vecchia polemica con l’Economist? Se Berlusconi era appunto fit o unfit per guidare un paese. Che tenerezza, era il 2001 e un giornale – l’Economist, pensate, di carta! – era capace di causare sfracelli politici. Oggi che lo stesso giornale fa un sacco di copertine su Meloni e nessuno di noi sa dire se siano pro o contro, perché nel frattempo sono sparite  le edicole e l’indignazione non basta a pagare l’abbonamento e a varcare dunque il paywall, quel che conta è che Giorgia Meloni detta Giorgia ha chiaramente dato prova d’essere la grande continuatrice non tanto di duci e ducetti ma di lui, il Grande Impresario, il Sublime Intrattenitore, il Cav. 

 

Gli ultimi mesi sono stati infatti un’escalation, un “arco” come dicono i televisivi, un fregolismo, di travestimenti, di trovate, di sketch, degni del Berlusconi degli inizi, quello gioioso del milione di posti di lavoro. Così l’espressione TeleMeloni ha senso non solo e non tanto con una pretesa informatija o disinformatija a reti unificate, culminata nell’intervista a Enrico Mentana su La 7 (con colpo di scena:  introdotta dal conduttore come se lei non fosse lì, e poi la telecamera che la inquadra a sorpresa, e lei che ridendo della sua risata cristallina, fa pure un “tatttaratà”, neanche Bette Davis al Tonight Show di Johnny Carson).   

 

Bensì come un Truman Show 2.0, in cui Giorgia Meloni detta Giorgia recita (bene) tutte le parti in commedia, protagonista di una  serie antologica, che si può vedere in verticale, per argomento, oppure per stagioni, con comprimari che cambiano. Così c’è la season “Eur Housewives”, altro che “The Real Housewives” con le sciure romane, che imperversa sul 9. “Percepisco un po’ di morbosità sulla mia vita privata” ha detto recentemente Meloni, “ed è una cosa che non ti aiuta, perché chiunque ha bisogno di avere una dimensione privata. Io ho scelto di fare politica, se avessi voluto partecipare al Grande Fratello avrei partecipato al Grande Fratello”. Come se Giorgia Meloni detta Giorgia non avesse trasformato la politica italiana nella Grande Sorella del Torrino (il quartiere dell’Eur dove vivono e operano le sorelle Meloni). Capace di gestire una crisi matrimoniale molto meglio della sua omologa di CityLife, Chiara Ferragni, anche lei ha annunciato la separazione via social, ha postato le foto con la figlia, e poi i momenti lieti nei centri commerciali e sui bagnasciuga.  Il prode Giambruno, che, come ci risulta, a differenza di Fedez è tornato a casa e non va a far danni in giro e non dice cose brutte sulla (ex) compagna,  in comune con il rapper ha la passione delle auto (eccolo scorrazzare per Forte dei Marmi in Porsche col soi disant principe Dimitri Kunz d’Asburgo in Santanché), e poi la Porsche viene  attenzionata forse da ladri o forse da spioni sotto la residenza melonesca del Torrino. A differenza di Chiara Ferragni che sembra essersi squagliata, che ogni volta che mette il naso fuori dai social prende una batosta, Meloni  nella tridimensionalità, nel passaggio dal cinema muto a quello sonoro, fiorisce, dilaga, sboccia. Ferragni sembra un cartonato anche quando è davanti a te, Meloni è in 3D sempre. 

 

E  questa fine di campagna elettorale bisogna dire che la tonifica, la energizza, la rende più vera del vero. Questo eccesso di materia si sente. Il peso del governare è tale che non solo lei ma anche altri membri del cast attorno alla premier sentono la necessità di trasformarsi in lei, come a levarle idealmente il peso di questo fardello. Ecco la sorella Arianna che sempre meno si nasconde. La Lee Radziwill del Torrino, che a differenza della sorella di Jackie Kennedy non è gelosa e la supporta tantissimo (oltre ad avere le sue grane in famiglia col marito Lollo, come si vede nelle ultime ore).  Ad Arianna toccò rappresentare la sorella al teatro Brancaccio di Roma a ottobre proprio nei giorni più caldi della  questione Giambruno, e fu gloriosa in scooterone e casco integrale a stelle e strisce. America o Latina, la sorella della premier e responsabile della Segreteria nazionale di Fratelli d’Italia ha chiuso la campagna elettorale per le europee proprio  nella città pontina in un bagno di folla. Da circa 20 anni lei lavora per la regione Lazio come precaria. Si descrive come “la ribelle della famiglia”. Un tempo i ribelli partivano per l’India, qui si parte per l’Eur, sede della regione. Arianna rivendica anzi con orgoglio di essere “la più longeva dei precari del Lazio”, qualunque cosa voglia dire, se dell’organigramma della struttura o proprio di tutto il Lazio:  sorpassando immediatamente e comunque  tutte le retoriche dei call center: a sinistra.  


E la sede della regione Lazio per chi fosse poco avvezzo all’urbanistica romana si trova su via Cristoforo Colombo, lo stradone che porta all’Eur e poi diventa via del Mare e/o Pontina, insomma la Terza Roma che come diceva Lui – oggettivamente grande urbanista – sarebbe sorta sul mare (ma contro i balneari avrebbe perso anche Lui): ma non di matrice si voleva parlare qui quanto di urbanistica. Perché è quell’asse che è il set naturale della TeleMeloni diffusa, quella Roma sud suvvistica dei grandi centri commerciali, della Fiera, e appunto della regione Lazio. E se l’ex membro del cerchio magico Fabio Rampelli capo della corrente dei Gabbiani di Colle Oppio, oggi reietto, sognava di collegare le due sponde dell’Eur con un colossale ponte, il presidente della regione, Francesco Rocca, più pragmaticamente ha annunciato che rimetterà la statua di Fantozzi nel palazzo. E qui, altro disclaimer, ai non romani e non appassionati della saga del ragioniere sfortunato: la Megaditta, la “ItalPetrolCemeTermoTessilFarmoMetalChimica”,  è infatti ambientata proprio nell’edificio della regione Lazio.

 

E la suddetta statua era quella ovviamente fittizia che rappresentava la mamma adorata dal Mega direttore  galattico, l’onorevole Cavaliere Conte Diego Catellani. E’ la statua contro cui sbatteva la testa ogni mattina il ragionier Ugo Fantozzi, nel primo film della saga, del 1975. Ogni dipendente era tenuto infatti a omaggiarla, ma Fantozzi la urta sempre e alla fine stremato si mette a insultare il monumento (segue celebre partita di biliardo, quella del “questa è classe, coglionazzo”, ecc. ecc). Il fatto è che ora appunto Rocca a margine degli “Stati generali europei sulla sostenibilità” (sic) ai Mercati di Traiano ha annunciato che vuole “ripristinare” la statua. “Non sarà esposta all’ingresso come nel film – ha chiarito – ma tra il primo e il secondo piano, accompagnata da una targa, un omaggio al grande attore Paolo Villaggio, che scelse proprio quel palazzo per ambientare il primo indimenticabile film ‘Fantozzi’”. E se non c’è la contessa Mazzanti Vien dal Mare ieri l’autrice e giornalista di “5 Minuti” (striscia vespiana)  Concita Borrelli Ruffo di Calabria twittava: “Il primo piano in tv del nostro premier  @GiorgiaMeloni è Number One! Ieri inquadrata dalle telecamere di #CinqueMinuti il suo volto faceva a gara con quello di giovani attrici. Incarnato chiaro, occhi bellissimi, elegante colore di capelli, labbra rosee. Dirlo non è piaggeria!”. La Megaditta è anche un po’ la Rai, e nel Truman Show meloniano, un mondo di donne che sembra quello di Barbie, ad Arianna  si attribuisce  persino il potere di cambiare i palinsesti: sarebbe dato in quota “Arianna” il Ken Stefano De Martino, fresco di un contratto da ben 8 milioni di euro (ma tutti smentiscono, “non mi interesso di dinamiche Rai”, ha detto lei, ma il fatto è che tu puoi pure non interessarti, è la Rai che si interesserà di te). Non conta infatti che sia vero, basta che sia verosimile. “Certa cronaca sembra fantasy. A quel punto preferisco il Trono di spade”, dice sempre Arianna, ma in Rai basta che qualcuno pensi che sia vero, e il fantasy diventa realtà. 

 

E a proposito di fantasy, l’unico vero certificato membro dello show business meloniano, Pino Insegno, già voce maschile del personaggio di Aragorn nella saga del “Signore degli anelli”, forse finalmente ha trovato pace. Male era andato “Il mercante in fiera” finito prematuramente causa ascolti deprimenti, che   gli aveva precluso il passaggio a  “L’Eredità”. Ora  era atteso alla prova di “Reazione a catena”, e gli ascolti pare che vadano bene e dunque non ci dobbiamo più preoccupare. Nel frattempo la Rai si sta svuotando, con la transumanza di talent verso le sirene della 9. E  sarà un caso ma mentre si susseguono le critiche verso l’atteggiamento considerato eccessivamente predatorio sull’informazione della maggioranza di destrissima, forse si capisce che la tanto agognata egemonia culturale non passa dall’occupazione ma proprio dallo svuotamento dei palinsesti Rai. Del resto chi può essere veramente interessato a vedere la fiction su Guglielmo Marconi mentre intanto  c’è Giorgia Meloni detta Giorgia live su qualche altro canale? Che sia a La 7, Tv 8, TeleCapri o TeleAlbania, lo show è lei.

 

E nell’èra del personal branding, si segue Meloni, anche su YouTube o Facebook o sul telefonino. Se Berlusconi aveva rivoluzionato la tv introducendo le reti  private, Meloni fa un passo in più, lei è  la tv nell’epoca dello spillolamento. (Tra l’altro si sa che il palazzo di Viale Mazzini è pieno d’amianto e si rincorrono le voci più disparate. Una di queste è che venga demolito e la sede spostata all’Eur). Se la telecamera (magari con calza) era il medium berlusconiano, il telefonino è quello dell’epoca meloniana. Per i selfie, gli sketch, rustici come quelli antichi sulla “pesciarola”, o sulle accise della benzina al distributore, o invece  raffinati come quello  dell’ormai celebre trappola partenopea. Quello della “stronza della Meloni”, detta a uno stravolto capocomico De Luca, che ha capito la sua carriera essere finita in quell’istante, come appunto le star del muto quando arriva il sonoro. La nuova TeleMeloni ha spregiudicatezza e tempi comici perfetti, ed è una tv leggera, a basso costo, ha la semplicità del mezzo, appunto un telefono. Ma quando già l’affare partenopeo ci sembrava il massimo, ecco che “Giorgia” ne fa un’altra.  Lei che scende dal corteo tra la polvere come in un Indiana Jones e intima ai nerboruti guardiani albanesi: “Leave him”, intendendo il deputato piùeuropeista Riccardo Magi in trasferta. Lasciatelo! (peraltro le guardie albanesi si comportano in maniera impeccabile, sembrerebbe, meglio di come sarebbe successo in Italia). “No problem”, dice ancora la premier, semplificando il suo noto inglese forse venendo incontro alle competenze linguistiche della scorta presidenziale di Tirana. E poi risale in macchina, e poi riscende. “Io la capisco, Magi”, fa in puro albertosordiano. “Anche io ho fatto tante campagne elettorali in cui non sapevo se avrei superato lo sbarramento. Io voglio darle una mano, Magi”. E qui sembra davvero Albertone, con gli occhiali scuri, nel “Vedovo”. Il parallelo sordiano non è casuale, si sa che Giorgia è ammiratrice del sommo attore trasteverino. Nel 2018 scriveva su Facebook: “Sono 15 anni che Alberto Sordi ci ha lasciati. Alberto, ci manchi tremendamente. Hai raccontato pregi e difetti degli italiani come nessuno mai. Maestro di romanità, generosità, amore per le cose semplici e Patriota nel senso più forte del termine. Grazie per tutte le risate che ci hai fatto fare e per le lacrime che ci hai fatto versare”. Non si sa se Sordi fosse patriota, di sicuro la romanità naturalmente conta, e  “Giorgia” interpreta quella che Walter Benjamin chiamava l’èra della leggibilità, col suo romanesco simpatico che tanto piace oggi, e le smorfie, le faccette, i vabbè, i “seee”, come appunto in Albania, “migranti poveri cristi? Seee”. Che spillolati funzionano tantissimo, tipo “Belve” di Fagnani (però Meloni è più brava, lo fa in diretta, senza montaggio). 

 

Come nella filmografia di Sordi, anche in quella di Meloni c’è poi lo spinoff estero.  Quelle coproduzioni come “Un tassinaro a New York”, “Io e Caterina”, “Fumo di Londra” dove soprattutto si scende e si sale sugli  aerei. Così oggi abbiamo Giorgia in versione “Scurti Air”, come del resto i funzionari chiamano ormai la braccio destro (e sinistro) della premier, la boccoluta segretaria particolare, factotum, tenutaria dei segreti meloniani, appunto Patrizia Scurti. Se Macron ha sempre un fido aiutante di campo con la valigetta nucleare, Meloni ha Scurti che regge la borsetta anzi borzetta. Il momento più alto di “Scurti Air” è stato quando il doppelgänger del premier è sceso dalla scaletta durante la visita di stato in Libano a fine marzo. Scurti è scesa dal volo di Stato e il primo ministro libanese Najib Miqati si è precipitato a omaggiarla, un po’ troppo affettuosamente per una segretaria particolare: baci, abbracci, insomma, si è talmente plasmata sulla premier da essersi trasformata in lei (anche con la stessa tinta di capelli, dai più definita “lavish biondo cenere Roma Sud”, e anche con l’onda). Poco male, lo spettacolo comunque era assicurato. Del resto tale è lo sforzo di assomigliarle, di esserne quasi sosia, che anche la sorella Arianna è stata fotografata con identico vestito a un recente compleanno della comune mamma, la leggendaria Anna Paratore.


Come nel “Marchese del Grillo”, dove Sordi fa brutti scherzi persino al Papa, anche “Giorgia” poi ogni tanto dà una botta al Vaticano. Quando il timido cardinal Zuppi, un uomo che sprigiona mitezza più del Papa Pio VII interpretato da Paolo Stoppa, ha osato avanzare qualche critica al progetto del premierato, subito “Giorgia” ha risposto a brutto muso qualcosa come: “Non mi sembra che il Vaticano sia il massimo del parlamentarismo”. Poi dopo tutto si è risolto, e il Papa andrà al G7 in Puglia (prima volta di un Pontefice in masseria, e non nella masseria di Bruno Vespa, questo soprattutto è incredibile). Del resto più che nel fascismo le radici di Meloni Giorgia detta Giorgia affondano nella pura commedia all’italiana. Nota e stranota la parentela con Agenore Incrocci, cioè il grande Age del duo Age e Scarpelli (che era cognato del nonno, Nino Meloni, regista). Ma c’è una figura a cui lei forse inconsciamente si è ispirata, quella di Bice Valori. I più giovani non la ricorderanno, è morta nel 1980, ma fu grandissima attrice, di enorme popolarità. Piccoletta – perdonate il body shaming – bionda, battuta folgorante, aria simpatica, Bice Meloni, pardon Valori, riusciva a interpretare ogni parte e a sembrare più vera del vero. Coem ha ricordato Filippo Ceccarelli, fu moglie e compagna di palcoscenico di Paolo Panelli, fintamente popolare, in realtà di ottima famiglia. Come del resto Meloni: in Parlamento da vent’anni, vicepresidente della Camera a 29, ministro a 31, oggi felice proprietaria di villona con piscina sempre all’Eur, papà commercialista… E nonostante ciò percepita da tutti, anche dai più assatanati detrattori, come una coattona di borgata, che ha fatto tutta la gavetta. E qui un’altra volta bisogna riconoscerne la grandezza, in un mondo in cui la sinistra che abita nel seminterrato col mutuo riesce a sentirsi in colpa additata di liberismo radical chic. Ma ci sono gli attori veri, e poi ci sono i dilettanti.

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).