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Viva l'Europa degli anti estremisti

L'Ue deve imparare a essere adulta, unendosi su democrazia e sicurezza

David Carretta

Gli elettori hanno parlato, oggi inizierà la stanca liturgia della politica. Ma sotto la minaccia della guerra di Putin, l’Unione ha di fronte una battaglia esistenziale. Serve un governo di unità e di salvezza europea. Chi è per l’Europa è dentro. Tutti gli altri sono fuori

Bruxelles. Quando un paese è in guerra merita un governo di unità nazionale. Il Churchill war ministry fu il governo di coalizione diretto da Winston Churchill dal 10 maggio 1940 al 23 maggio 1945 formato dal Partito conservatore, dal Partito laburista e dal Partito liberale. L’Europa oggi forse non è in guerra con la Russia. Ma la Russia fa la guerra all’Europa, che sia quella su vasta scala contro l’Ucraina che aspira alle libertà, alla democrazia e alla prosperità europee, o quella ibrida condotta contro gli stati membri dell’Ue per minarne valori e forza. L’Europa “è mortale”, ha ricordato Emmanuel Macron nel suo secondo discorso alla Sorbona. Le minacce si accumulano anche su altri fronti. L’assertività economica della Cina potrebbe devastare l’industria europea, con conseguenze sociali e politiche gravi. Il potenziale ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca il prossimo anno potrebbe lasciare l’Europa da sola, senza l’ombrello di sicurezza americano e con un nuovo nemico economico. L’Europa è minacciata anche dall’interno da forze politiche antisistema, a volte al soldo di Vladimir Putin o di Xi Jinping, le cui politiche mirano a erodere le fondamenta della convivenza civile, dello stato di diritto e dei diritti umani universali. 

  

Gli elettori europei ieri hanno parlato. Si sono espressi nelle urne, come fanno ogni cinque anni per rinnovare il Parlamento europeo. Oggi si commenterà la progressione dell’estrema destra, si discuterà di cordone sanitario, si ipotizzeranno vecchie e nuove maggioranze. Inizieranno anche le trattative per nominare i nuovi vertici delle istituzioni dell’Ue. Si cercherà lo schema classico: un presidente della Commissione al Partito popolare europeo, un presidente del Consiglio europeo ai socialisti, un Alto rappresentante ai liberali e qualche altro strapuntino per i sovranisti considerati “frequentabili”. Si approverà un’agenda strategica piena di slogan già vecchi. Ma ripetere la stanca liturgia della politica europea non ha senso. 

  

L’Europa ha di fronte una battaglia esistenziale. Serve un governo di salvezza europea. Chi è per l’Europa è dentro. Tutti gli altri sono fuori. Servirebbe anche un Churchill, ma il pericolo sono i molti Chamberlain.

 

Nella campagna elettorale europea i temi fondamentali per il destino dell’Europa sono stati appena trattati. Uno sforzo più grande per difendere l’Ucraina? Gli italiani hanno paura della guerra, meglio evitare di annunciarlo. Il debito europeo comune per la Difesa? Spaventa tedeschi e olandesi, meglio non parlarne. Una politica industriale pro attiva? Gli aiuti di stato non piacciono ai paesi nordici, meglio dimenticarla. I dazi contro la Cina? La Germania teme ritorsioni, meglio rinviarli a dopo il voto. L’allargamento all’Ucraina, alla Moldavia, alla Georgia e ai Balcani occidentali? I contadini polacchi e francesi si sono già ribellati contro il grano e il pollo ucraino, meglio farne un processo burocratico. L’emergenza climatica? Non è più di moda e gli elettori potrebbero preferire il fornello a gas alla piastra elettrica, meglio far finta che non ci sia più. Questa negazione delle realtà geopolitiche ed economiche è il sintomo della mediocrità – con qualche eccezione – delle classi dirigenti europee e nazionali attuali e della loro paura degli elettori. E’ anche paradossale, dati i successi dell’Ue nella gestione delle crisi negli ultimi cinque anni, dalla pandemia di Covid curata con gli acquisti comuni dei vaccini e il debito comune di Next Generation Eu, alla guerra in Ucraina affrontata con straordinaria unità e proteggendo gli europei dalla guerra energetica di Putin.

 

Saranno questi mediocri leader europei e nazionali a sedersi attorno ai tavoli dell’Ue per decidere l’agenda strategica della prossima legislatura, la maggioranza chiamata a portarla avanti e le nomine dei presidenti di Commissione e Consiglio europeo. Si può prevedere con un certo grado di certezza che inizieranno trattative di basso profilo sia politico sia materiale. Ursula von der Leyen prometterà tutto a tutti pur di racimolare il sostegno dei capi di stato e di governo e di 361 deputati europei. Emmanuel Macron chiederà qualche posto di peso e molte concessioni sul commercio. Olaf Scholz si accontenterà di preservare i suoi interessi con una tedesca alla testa della Commissione. Giorgia Meloni pretenderà una politica migratoria ancora più dura e condizioni molto più morbide per ottenere tutti i fondi del Pnrr. Nel frattempo al Parlamento europeo, il Ppe continuerà con i flirt politici ambigui con i sovranisti del suo presidente Manfred Weber. Socialisti e liberali si lacereranno tra il desiderio di tenere Giorgia Meloni dentro il cordone sanitario e la volontà di non portare l’Ue sull’orlo dell’ingovernabilità.

 

Il problema dell’Europa non è il segretario generale della Commissione di cui Macron potrebbe accontentarsi per sostenere von der Leyen. E non è nemmeno se Meloni sarà dentro o fuori da una maggioranza che in realtà non esiste. Il problema dell’Europa è che deve imparare a essere adulta e in grado di fare da sola, all’altezza della forza economica e politica che già ha. Il problema è la mancanza di un piano per difendersi dagli aggressori e per vincere le guerre militari o economiche del Ventunesimo secolo. Vincere, non sopravvivere. Le idee non mancano. Enrico Letta ne ha inserite alcune nel suo rapporto sul mercato interno. Mario Draghi ha già detto che proporrà “un cambiamento radicale” nel rapporto sulla competitività europea (e molto altro) che dovrebbe rendere pubblico a luglio. Ciò che manca è il coraggio politico di concordare e portare avanti un programma politico per l’“Europa potenza”, come l’ha definita Macron.

 

Non serve essere politicamente omogenei per essere europei coraggiosi. Il Trattato di Roma fu firmato nel 1957 da leader di paesi che si facevano la guerra appena 12 anni prima. Helmut Kohl, François Mitterrand e Margaret Thatcher – un cristiano-democratico, un socialista e una conservatrice con istinti nazionalisti – ebbero il coraggio di costruire il mercato unico per abbattere le frontiere. Kohl e Mitterrand concordarono la riunificazione della Germania e la fine del marco tedesco con la nascita dell’euro. Jacques Chirac, Gerhard Schroeder, Tony Blair e Romano Prodi – un gollista, un socialdemocratico, un laburista e un democristiano di sinistra – realizzarono la riunificazione dell’Europa con il grande allargamento del 2004. Ciascuno apparteneva a famiglie politiche diverse, alcuni avevano dubbi e opposizioni, ma tutti sono stati in grado di superare le divisioni per il bene comune.

 

La libertà dell’Ucraina è in gioco. La sicurezza e la prosperità dell’Europa sono in gioco. La democrazia europea e quelle nazionali sono in gioco. I capi di stato e di governo che si riuniranno nel Consiglio europeo per decidere l’agenda strategica e il prossimo presidente della Commissione, così come i deputati che da oggi rappresenteranno i cittadini al Parlamento europeo, dovrebbero semplicemente fare una cosa: mettere da parte le loro rivalità e i loro interessi di parte, e scegliere un governo con un programma di salvezza europea. Non tutti ci staranno. Gli Orbán si stanno diffondendo nell’Ue. I nemici interni della democrazia, come Marine Le Pen, si sono rafforzati ieri. Ma va posta una scelta. Chi vuole l’Europa adulta e forte è dentro. Gli altri sono fuori. E se vogliono possono andarsene anche dall’Ue.