Movimento 9,99

Conte pronto a rivedere il divieto di terzo mandato. Casaleggio lo attacca

Gianluca De Rosa

Dopo il flop europeo il presidente grillino si prepara a rivedere le regole, nei prossimi giorni la riunione dei gruppi parlamentari. I numeri di una disfatta ormai strutturale

La percentuale è da svendita totale: 9,99 per cento. Se fosse un prezzo sarebbe uno specchietto per le allodole. Come esito elettorale invece ha il sapore della beffa: 0,1 per cento dalla soglia psicologica del 10. Il più grande flop del M5s in una competizione elettorale nazionale dal 2013, oltre sei punti percentuali in meno rispetto alle elezioni politiche del 2022. L’attacco a Giuseppe Conte lo lancia subito Davide Casaleggio: “E’ un risultato disastroso, si è voluto trasformare un movimento di milioni di persone in un partito unipersonale, Conte dovrebbe dimettersi”. Lui intanto, a tarda notte, ammette davanti alle telecamere: “Faremo una riflessione interna sulle ragioni del risultato che non è quello che ci aspettavamo”. I prossimi giorni questa riflessione si tradurrà in un vertice con i gruppi parlamentari. Due sono gli argomenti già messi in agenda: il superamento del divieto di terzo mandato e i criteri di compilazione delle liste. Da un lato un cambio di regole per permettere di correre a volti conosciuti e ancora ascoltatissimi dalla base di un tempo, come Virginia Raggi, Paola Taverna e Roberto Fico e avere così una classe dirigente in grado, nel tempo, di crearsi il proprio bacino di consenso. Dall’altra poteri maggiori nella compilazione delle liste al presidente invece delle “cliccarie” online, ormai sempre meno partecipate. “E’ chiaro che questi sono i punti da cui partire – spiega un deputato 5 stelle –  il Pd ha schierato tutti pezzi da novanta e la cosa ha pagato, noi a parte Tridico non avevamo una squadra competitiva”. E adesso è proprio con il Pd di Schlein che, da forza di minoranza, dovrà partire come ha ammesso Conte un “dialogo sempre più intenso”.


A questo giornale il problema delle liste stellate lo aveva sottolineato un dirigente Pd, Goffredo Bettini, un tempo gran suggeritore dell’avvocato 5 stelle: “Faranno un risultato faticoso perché le liste non sono all’altezza, hanno scarso peso politico”. Tradotto: senza amministratori locali e volti riconoscibili non sono in grado di intercettare un numero di preferenze in grado di trainare il partito, soprattutto in caso di bassa affluenza. A far bene sono solo i due campioni del sud e delle isole. L’ex presidente dell’Inps, Pasquale Tridico che nel collegio del Mezzogiorno raccoglie oltre 118 mila preferenze, e il candidato antimafia Giuseppe Antoci che nelle isole ne prende quasi 65 mila. Ma anche in questi due collegi, zoccolo duro dell’elettorato 5 stelle, complice la bassissima affluenza (l’analisi dei flussi dell’istituto Cattaneo dice che sono finiti qui i voti persi dalle politiche del 2022), il M5s si ritrova sorpassato dal Pd (clamoroso il 24,3 contro 16,8 al Sud). L’unica consolazione? Il primato a Caivano, luogo simbolo della retorica meloniana, dove i grillini sono il primo partito, con il 32,9, scavalcando di oltre otto punti FdI. Ma sono in particolare i collegi del nord a mostrare la debolezza delle liste grilline. Al nord-ovest, dove il Movimento prende il 6,7, il più votato è l’ex direttore della Notizia, Gateano Pedullà, che raccoglie qualcosa in meno di 16 mila preferenze, meno dei primi dieci candidati del Pd nella stessa circoscrizione.


Ma forse la debolezza delle liste non basta a spiegare la disfatta grillina. L’esito s’inserisce in un ridimensionamento progressivo del M5s in quasi tutte le competizioni elettorali da quando il partito è arrivato al governo ed è passato nelle mani di Giuseppe Conte. Se nel 2018 il M5s aveva preso il 32,7 per cento, nel 2022 i voti erano dimezzati, il 15,4. Stesso discorso, a cinque anni di distanza, anche in tutte le ultime competizioni regionali. E adesso anche per le europee: dal 17,1 del 2019 al 9,9 di oggi, in valori assoluti, complice l’affluenza leggermente più alta, un dimezzamento netto dei voti. Insomma, la sensazione è quella di trovarsi di fronte a una riduzione strutturale del peso dei grillini. E proprio su questo, oltre a Casaleggio, è intervenuto ieri l’ex ministro, voce dei nostalgici del Movimento che fu e di Beppe Grillo, Danilo Toninelli. L’unico ad attaccare direttamente Conte e rievocare il fondatore: “Il M5s – dice – era forte quando dicevamo non siamo né di destra né di sinistra. Ormai si è politicizzato e ha dovuto sostituire le idee con la tattica finendo in un campo di centrosinistra. Manca Beppe Grillo. Lui faceva sognare, entusiasmava le persone che, emozionandosi o incazzandosi, andavano a votare. Conte è un tecnico, una brava persona ma i tecnici non hanno capacità di emozionare”. L’avvocato di Volturara Appula comunque per ora rimane saldamente in sella alla guida del partito anche grazie al cambio statutario del 2021 ottenuto dopo un’estenuante trattativa con Grillo, complice il finanziamento da 300 mila euro del movimento al blog del fondatore. Il cambio ha accentrato tutti i poteri nella figura del presidente, ridimensionando il garante. La carica dura quattro anni, e quindi per almeno altri 12 mesi impedisce la defenestrazione di Conte.