Calenda blues

Calenda ipotizza le dimissioni in direzione, poi smentisce di volersi dimettere

Marianna Rizzini

Ai più arrabbiati spiega: "Non sono imprescindibile, sono a disposizione". E ora le linee davanti sono due: l'accordo con il Pd di Schlein o la riproposizione aggiornata del Terzo polo

Presenza “non imprescindibile”, mandato “a disposizione”. E’ un’ipotesi (per assurdo?), ed è sera quando il fulmine, per le povere creature terzopoliste ammaccate dal voto, compare all’orizzonte della direzione di Azione: parla il leader Carlo Calenda (che poi preciserà: altro che dimissioni, rilancio del partito), e parla non solo di un congresso rifondativo a ottobre, aperto ad altre sigle e leader, ma anche di ricuciture non ricucibili. E quindi, è il succo che emrge dalla riunione: sono “a servizio di questo partito”, dice Calenda. Se dovesse servire al partito un passo indietro, dice il leader di Azione, non sarebbe un problema. Il segretario pensa che la vita “faccia grandi giri”: c’è il momento in cui uno può mettersi da parte e il momento in cui uno può tornare. Ma Azione viene prima, è il concetto. E se c’è stata una lesione di immagine del leader, dovuta alla rottura del Terzo Polo, si può ragionare. Calenda pronuncia la parola, ragionare, proprio mentre Davide Casaleggio manda a dire a Giuseppe Conte, timoniere di un M5s uscito ridimensionatissimo dalle urne, che ci sono casi in cui, in un’azienda, si rimette il mandato. Si deciderà  insieme, dice Calenda. Ci sono due linee davanti: l’accordo con il Pd di Elly Schlein o la riproposizione aggiornata del Terzo Polo. E ci sono esponenti di Azione che invitano alla coerenza (da soli tutta la vita), altri più aperturisti e altri che vorrebbero mettere in discussione l’operato del leader.

 

E insomma, hai voglia a citare Winston Churchill (“il successo non è definitivo, l’insuccesso non è fatale, quello che conta è il coraggio di andare avanti”) quando ti chiami Carlo Calenda e sei il leader di un partito che si è fermato sulla soglia del 4 per cento, al 3,35, perdendo l’aereo per Strasburgo esattamente come gli Stati Uniti d’Europa, la lista di scopo dell’ex alleato e leader di Iv Matteo Renzi e di Emma Bonino con Più Europa, bloccati ancora più su (3,76 per cento). E anche se Calenda vuole ricominciare “da una grande costituente dell’area liberal-democratica”, ieri, ohimé, l’imputato principale della mancata conquista di 5,6 o 7 parlamentari, pronti a sedere con i macroniani in Renew Europe, era considerato proprio lui. Tanto più che al flop dell’ex Terzo Polo corrispondeva, nell’altro fronte, il successo dei centristi post-berlusconiani della destra: Forza Italia di Antonio Tajani, con i Noi Moderati di Maurizio Lupi, è volata al 9,6 per cento, superando la Lega. E dunque ieri il vicesegretario di Azione Enrico Costa, deputato calendiano, già ministro per gli Affari Regionali nei governi Renzi e Gentiloni, già parlamentare per Forza Italia e Pdl, pur lodando “il modo di condurre la campagna elettorale” da parte di Calenda, ricordava al Foglio un giorno dell’aprile 2023 in cui, con il deputato di Iv Luigi Marattin, aveva consegnato a Repubblica una lettera aperta: cari Renzi e Calenda, fermatevi, “non dividete il campo del riformismo liberale”. Ieri però Calenda pareva metterci il macigno sopra: “Renzi fa partiti per sfasciarli e Bonino fa partiti con nessuno”, e Renzi durante la notte aveva puntato il dito: “Pesa l’assurda rottura del Terzo Polo”. “Dobbiamo ripartire da lì”, dice Costa, “il nostro elettorato non vota a occhi chiusi”. Nostro elettorato, come fosse un unicum, e in effetti per molti aspetti lo è. Calenda intanto però ieri ricordava di aver avvertito Bonino: gli elettorati tuoi e di Renzi sono incompatibili. “Andiamo avanti”, diceva un altro deputato di Azione. Ma come? Sul banco degli imputati è rimasto l’ultimo giapponese andato da solo, e sono dolori, al punto che dalla direzione di Azione non trapelava soltanto la notizia del suddetto congresso rifondativo aperto. C’è chi teme che si cominci a litigare: andiamo di qui, andiamo di là. Ma qualcuno potrebbe davvero essere tentato di andare di là? ci si domandava ieri tra i Palazzi. Dalle ex ministre azzurre e poi parlamentari di Azione Mara Carfagna e Mariastella Gelmini non giungeva alcun segnale in tal senso. Anzi. Carfagna, che di Azione è presidente, incolpava “la polarizzazione del voto tra destra e sinistra”: “Abbiamo il dovere di continuare a credere in una politica oltre la propaganda”. Vista dal lato FI, la non autosufficienza dei centristi di centrosinistra potrebbe far venire voglia di fare campagna acquisti? Chissà. Sbottava intanto Fabiano Amati, commissario regionale di Azione in Puglia: “Le Europee hanno sancito quanto irrazionale e fonte di discredito sia stata la decisione di separarsi”. Calava così la notte sul primo “day after”, nella costernata area post-terzopolista. 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.