in europa
L'alleanza silenziosa tra Ursula e Giorgia
Contatti tra Meloni e von der Leyen (che ora si vedono al G7) per la nuova Commissione europea. Per il secondo mandato della presidente uscente servono i voti (di sicurezza) della leader di FdI. Problema Pse
Basta intese, viaggi in Tunisia e aperture a destra: von der Leyen sceglie liberali e socialisti, e i selfie con Meloni non sono più di moda. Non più amiche, ma neanche nemiche: la presidente della Commissione Ue, infatti, dovrà trovare un’intesa con la premier italiana di cui ha bisogno sia in Consiglio che al Parlamento europeo per la sua riconferma. Un’intesa delicata però perché la sola presenza di Meloni fa saltare i nervi a socialisti e liberali, che hanno fatto sapere di essere pronti alle barricate contro ogni tipo di accordo. Socialisti che, peraltro, sono indigesti alla premier italiana, che, forte del messaggio uscito dalle urne, non intende trattare con chi l’attacca da mesi. Sull’accordo, inoltre, si staglia anche l’ombra della campagna elettorale francese, con un Macron all’angolo e l’incognita delle mosse di Marine Le Pen, che cerca sempre più insistentemente sponde a Roma per sfondare a Parigi.
Dal team di Ursula, intanto, è già partito un ventaglio di telefonate esplorative, contatti tra sherpa per capire come tenere in piedi la nuova coalizione. Per quanto riguarda i rapporti con Roma, von der Leyen dovrà convincere Meloni a sostenerla, ma da lontano, senza farlo sembrare un patto, ma piuttosto una comunanza di interessi, mettendo però sul tavolo le garanzie necessarie per fare in modo che il governo italiano, sebbene fuori dalle intese ufficiali, occupi un ruolo preminente a Bruxelles. E quali siano queste garanzie, i meloniani lo hanno già fatto capire: un commissario di peso, con dossier economico e con qualifica di vicepresidente della Commissione Ue. “Ottenuto quello, poi si facciano le alleanze che vogliono”, taglia corto parlando al Foglio un meloniano di ferro. “Tanto noi coi socialisti non ci vogliamo stare e loro non vogliono stare con noi”.
La trattativa però è ancora tutta virtuale. Il primo tentativo di quadrare l’offerta è arrivato ieri sera alla riunione virtuale dei leader del Ppe, quando la presidente della Commissione ha visto il vicepresidente Tajani assieme agli altri leader dei popolari e ha iniziato a mettere nero su bianco le condizioni dei partiti e dei governi per l’appoggio alla sua riconferma alla guida della Commissione Ue. Ruolo chiave nel negoziato per i popolari lo sta avendo il premier polacco Donald Tusk, l’uomo del pallottoliere, il negoziatore designato dal Ppe per cercare nuove maggioranze e assicurare a von der Leyen i voti necessari.
A von der Leyen, infatti, non serve solo l’assenso di Meloni al Consiglio Ue, ma serviranno anche i voti dei 24 eurodeputati meloniani il 18 luglio a Strasburgo, quando, nascosti dietro lo scrutinio segreto, franchi tiratori tra le stesse fila dei popolari e dei socialisti cercheranno lo sgambetto al bis della presidente della Commissione Ue. Ma su quelle che dovevano essere delle settimane di trattativa silenziosa si è abbattuto il ciclone della campagna elettorale francese e soprattutto l’imprevedibilità di un Macron messo all’angolo in casa, che potrebbe cercare il colpo di scena al Consiglio Ue, e magari sparare a zero su von der Leyen, sperando di intestarsi una vittoria per guadagnare ossigeno elettorale. Timori che portano qualcuno sia a Roma che a Bruxelles anche a ipotizzare che forse sia il caso di allungare i tempi e che sia meglio aspettare il risultato del voto francese prima di prendere decisioni.
Nel frattempo le scintille Roma-Parigi sono già cominciate. “Manteniamo la nostra posizione: nessun accordo con i Conservatori Ue di Giorgia Meloni, del PiS in Polonia e di Reconquete in Francia. E’ l’estrema destra e noi vogliamo preservare il cordone sanitario anche nel contesto del nuovo Parlamento europeo”, ha spiegato la candidata di punta dei Liberali europei di Renew, Valérie Hayer, arrivata in conferenza stampa a Bruxelles per mettere la faccia sulla sconfitta elettorale della compagine macroniana. Parole che hanno irritato il capogruppo di Ecr, Nicola Procaccini: “Hayer dimostra una grave carenza di cultura democratica. Non sorprende, dunque, che i francesi abbiano voluto punire con il loro voto Renaissance”, punge il meloniano, dimostrando che la campagna elettorale francese è già tema di scontro.
Von der Leyen però ha fretta e vuole chiudere subito e infatti potrebbe essere cruciale il primo vis-a-vis tra Meloni e l’attuale presidente della Commissione Ue, che arriverà al G7 in Puglia questa settimana. Un vertice che vedrà Meloni padrona di casa e con le urne che le hanno consegnato forse il governo elettoralmente più stabile dei 7 grandi paesi del mondo. In questo contesto, Ursula e Giorgia potrebbero mettere a punto questo strano patto di non belligeranza che è quasi un’alleanza, ma un’alleanza non è.