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Alla vigilia di Borgo Egnazia

Le frecce di Lady G7: chi è Elisabetta Belloni, "sherpa" di Giorgia Meloni

Marianna Rizzini

Ambasciatrice, ex segretario generale della Farnesina e nome ricorrente per alti incarichi: ora anche in Europa. Oggi coordinatrice dell’Italia per il G7 che si apre in Puglia e riflesso della classe dirigente meloniana

“La vera arte”, esclamò allora il maestro, “è senza scopo, senza intenzione. Quanto più lei si ostinerà a voler imparare a far partire la freccia per colpire sicuramente il bersaglio, tanto meno le riuscirà l’una cosa, tanto più si allontanerà l’altra. Le è d’ostacolo una volontà troppo volitiva. Lei pensa che ciò che non fa non avvenga….”.

(Da “Lo Zen e il tiro con l’arco”, Adelphi, 1987)

 

A sapere ieri che sarebbe diventata oggi quello che è diventata, l’ambasciatrice Elisabetta Belloni – direttrice generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (numero uno dei servizi segreti) e “sherpa” di Giorgia Meloni al G7 che si apre domani a Borgo Egnazia – avrebbe forse benedetto il vezzo e la passione che l’hanno portata, negli anni, a praticare saltuariamente il tiro con l’arco, attività che non può essere definita uno sport, da quanto abbia a che fare non tanto con la forza fisica, quanto con la capacità di osservazione, l’attitudine al silenzio, la resistenza di fronte all’ostacolo, la resilienza davanti alle sconfitte, tutte doti che costituiscono il nucleo caratteriale di ferro di Belloni, già allenata a tutto in anni di missioni al vertice dell’unità di crisi della Farnesina, tra il 2004 e il 2008, o come direttrice generale per la Cooperazione allo sviluppo (tra il 2008 e il 2013) o come segretario generale del ministero degli Esteri, prima donna a ricoprire un simile ruolo, fino all’incarico a cui, nel maggio del 2021, l’ha chiamata l’ex premier Mario Draghi in persona: direttrice generale del suddetto Dis, una poltrona a cui non si arriva casualmente, e per la quale ci si prepara non soltanto sui libri universitari. E qui si aprono subito due interrogativi: sarà stata tenuta da parte per una sorta di premonizione o è stata affissa come scherzo celebrativo ex post, la copertina di Panorama dedicata ai segreti delle spie che Belloni – così dice una leggenda metropolitana  – tiene in bella vista appesa nel suo ufficio? E ancora: Belloni, bionda come una Grace Kelly d’acciaio, pettinata come un’attrice anni Cinquanta, fuma ancora le sigarette sottili tipo Gauloises che fin da ragazza, racconta un amico, completavano la sua allure di ex tennista amatoriale dall’eleganza non appariscente, ma pur sempre legata alla moda post-sessantottina? Pare infatti che la sigaretta sottile accompagnasse le giornate di Elisabetta Belloni fin dai tempi del terribile concorso per la carriera diplomatica – incubo di qualsiasi studente di Scienze Politiche che, fin dal primo anno di corso, sa che dovrà, volendo anche soltanto tentare la prova scritta, stamparsi prima possibile e per sempre in mente l’intero volume detto semplicemente “Duroselle” dal nome dell’autore del tomo “Storia diplomatica dal 1919 ai giorni nostri” (ai tempi in cui fece l’esame Belloni, il Duroselle compariva in elenco con il non meno completo tomo precedente, “L’Europa dal 1815 ai nostri giorni”, al primo sguardo un elenco del telefono di date, ma dal secondo sguardo in poi, dice un ambasciatore, “un formidabile strumento di comprensione di qualsiasi crisi internazionale passata, presente e futura”). 

 


Gli studi al liceo Massimo (come Draghi che l’ha voluta al Dis), il concorso, i sequestri e lo tsunami. Quando il suo nome girava per il “governo ponte”, e quando invece si puntava su di lei per il Quirinale. Riserva per governi che fanno fatica con le nomine, donna di pensiero e azione, bionda hitchcockiana. Quando giocava a biliardino nella base militare in Afghanistan, e quando dice tre parole ai nuovi 007


 

Sigarette, tennis e capelli da bionda hitchcockiana, dunque: così si presentava allora l’attuale direttrice generale del Dis e coordinatrice diplomatica del G7, e non appare tanto diversa oggi, Belloni, nei giorni di sole in cui — con occhio pronto a registrare problemi a 360 gradi e passo veloce da persona abituata a camminare per chilometri sia a Roma sia nell’amata casa nella campagna toscana dove si diletta a preparare marmellate — si aggira nel buen retiro meloniano che farà da sfondo al vertice. Belloni è già lì da giorni, infatti, per controllare, verificare, precedere le delegazioni e i capi di governo stranieri e spianare il campo da intoppi organizzativi o, quel che è peggio, di contenuto. Non è sherpa per caso, infatti, l’ambasciatrice, nel senso che alcuni dossier li conosce per averli già incontrati nella lunga carriera alla Farnesina, e conosce pure molte delle persone con cui dovrà lavorare a fianco della premier, che pare abbia in mente questa immagine: uno più uno, anzi una più una, cioé Meloni e Belloni, due donne ai vertici per il vertice. 

Non è certo un nome nuovo, quello di Elisabetta Belloni, figura a cui si è pensato in varie occasioni e per diverse poltrone e per diverse situazioni in cui bisognava trarsi d’impaccio rispetto a complicati equilibri da non infrangere se non da ritrovare, vedi tormentata genesi del primo governo Conte, quando ancora si pensava a una sorte di “governo ponte” per andare a nuove elezioni se non si fosse trovata la quadra, nella tarda primavera del 2018, e vedi elezione del presidente della Repubblica, prima di approdare alla rielezione di Sergio Mattarella, nell’inverno del 2022, quando si pensò a Belloni come prima donna al Colle. E però ci fu chi – e non soltanto il leader di Italia Viva Matteo Renzi, che pure l’aveva avuta come collaboratrice al governo – obiettò che insomma, il capo dei servizi segreti al Quirinale magari anche no, non volendo incorrere, dicevano i più allarmati, “in uno scenario sudamericano”. Fatto sta che oggi la premier, tanto più dopo il voto europeo, con Fratelli d’Italia al 28,80 per cento, se deve pensare alle caselle da riempire nei futuri assetti bruxellesi, per l’eventuale ruolo di commissario alla Difesa penserebbe a lei (e infatti ci ha pensato), anche se la figura dell’attuale ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti le permetterebbe di avere la via spianata senza troppi arzigogoli con la Lega. Lo schema è più o meno questo: non viene mai nominata apertamente, Belloni, “come fosse Lord Voldemort”, scherza un osservatore esperto, alludendo al mago nemico di Harry Potter il cui nome non viene mai pronunciato, eppure è sempre nella rosa dei possibili prescelti, come lo era per il vertice di Ferrovie. E come è stato per il G7, essendo Belloni esponente di quella classe di professionisti-esperti-conoscitori del mondo e di vari mondi, in qualche modo considerata trasversale e tecnica e quindi spendibile anche presso i governi che, come il governo Meloni, non hanno riserve di personalità cui attingere, vuoi per mancanza di classe dirigente d’esperienza in campi in cui l’esperienza serve, vuoi per eccessiva classificabilità politica dei personaggi. E non è un mistero che, per un futuro ministero di peso, dovesse mai cambiare qualcosa negli equilibri di governo, sempre a lei si penserebbe, in area Meloni, visto il passato da risolvi-problemi al vertice dell’unità di crisi della Farnesina, in tempi di sequestri di italiani in Iraq e tsunami con maremoto nell’Oceano indiano, nei primi anni Duemila. Allora come oggi lei, Belloni, è costante nell’abitudine di tenere sempre acceso l’antico televideo in ufficio e, dice un collega, nel recarsi in India, “paese che conosce come le sue tasche”. Che sia proprio così oppure no, in India Belloni si è recata spesso ed è un’habituée del Raisina Dialogue, evento organizzato dal think tank indiano Observer Research Foundation e dal ministero degli Esteri di Nuova Delhi (quest’anno erano presenti con lei, tra gli altri, l’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, oggi senatore di FdI che Belloni conosce da innumerevoli anni, compresi quelli della crisi dei Marò, Jan Lipavský, ministro degli Esteri ceco, Juraj Blanár, ministro degli Esteri slovacco, Marise Payne, ex ministra della Difesa australiana e oggi docente alla Western Sydney University, e Jorge Guajardo, ex ambasciatore messicano in Cina e oggi partner di Dentons Global Advisors). 

Parentesi: dice un ambasciatore spiritoso che “il concorso diplomatico è per sempre”. Nel  senso che c’è chi, avendo sostenuto il concorso nello stesso anno di Belloni, si è convinto che Belloni automaticamente, specie nel passato ruolo di segretario generale della Farnesina, potesse favorire scatti di carriera di ex colleghi nella dura esperienza d’esame. “Macché”, dice proprio un ex collega: “Belloni piuttosto che promuovere una persona che non considera adatta minaccia le dimissioni”. Non si prendeva molto dal punto di vista ideologico, l’ambasciatrice, per esempio, dicono alla Farnesina, “seppure senza mai avere scontri diretti”, con l’altra ex compagna di concorso Elena Basile, ex ministra plenipotenziaria dimessasi dalla carriera diplomatica e diventata nei mesi scorsi volto abituale dei talk show con posizioni anti-atlantiste sull’invio di armi all’Ucraina e sulla situazione a Gaza. E poi c’è chi, tra i compagni di concorso, come l’ambasciatore Ettore Sequi, già ambasciatore in Cina e successore di Belloni a segretario generale della Farnesina, pensa che l’attuale coordinatrice del G7 sia “la collega che ognuno vorrebbe incontrare e l’amica che ognuno vorrebbe avere”. 

Seconda parentesi: Belloni ha altri compagni illustri, stavolta di scuola superiore, anche se non coetanei suoi e tra loro, avendo frequentato il Massimo, storico liceo romano gestito dai padri gesuiti frequentato anche da Mario Draghi, l’uomo che l’ha nominata a capo del Dis, da Luca Cordero di Montezemolo, dal banchiere Luigi Abete, dal diplomatico Staffan de Mistura, dall’ex direttore del Popolo Giuseppe Sangiorgi, dall’ex direttore dell’Unità e cofondatore del Fatto Antonio Padellaro, dall’ex capo della Polizia Giovanni De Gennaro e dall’ex sindaco di Roma Francesco Rutelli. “O imparavi a studiare o imparavi a studiare”, dice un ex studente, ancora fan degli insegnamenti dell’ormai mitologico e compianto padre Franco Rozzi, “uno che insegnava a dire in due righe quello che tu avresti detto in dieci”. Belloni arrivò negli anni in cui il Massimo aveva appena aperto alla frequentazione femminile, studiosissima, bravissima in latino e inglese e potenziale poliglotta (e negli anni infatti ha imparato, oltre all’inglese, anche il francese, lo spagnolo e il tedesco). E sarà anche per via dell’abitudine ad avere amici e compagni maschi che Belloni, qualche anno fa, ha sbalordito il borghese, inteso come testimone non militare di una sua visita in una base in Afghanistan. A un certo punto, racconta il testimone, dalla stanza accanto a quella in cui si trovava udì urla e strepiti, e ci volle un po’ per capire che, per fortuna, non di emergenza si trattava ma di un mini-torneo improvvisato di biliardino a cui una Belloni concentratissima stava partecipando, come ospite, contro alcuni esponenti dei servizi e dell’esercito, donna di pensiero e azione, rigorosa nel tempo libero come nei sentimenti, dice un amico, che racconta “la meravigliosa storia d’amore vissuta da Elisabetta e Giorgio”. Giorgio è Giorgio Giacomelli, compianto marito di Belloni, l’uomo con con cui ha vissuto felice a dispetto dei ventotto anni di differenza d’età, condividendo anche il lavoro, ché Giacomelli, diplomatico di origine padovana, lungi dall’essere un Pigmalione, è stato piuttosto un compagno esperto con cui confrontarsi, vista la complessità degli incarichi da lui ricoperti, tra i tanti, come direttore generale della sede delle Nazioni Unite a Vienna e come vice segretario generale dell’Onu negli anni Novanta, con studi a Cambridge e a Ginevra. Vienna è stata città ricorrente e comune per i due: Belloni c’è stata a inizio carriera, prima di recarsi a Bratislava e prima di essere scelta come capo dell’Ufficio per i paesi dell’Europa centro-orientale. Quell’inizio in luoghi non lontani dall’ex cortina di ferro, a pochi anni dalla caduta del Muro, hanno cementato in Belloni le abilità diplomatiche tra paesi ex nemici del nostro emisfero, come in seguito la nomina a direttrice generale della Cooperazione, nel 2008, l’ha resa adatta a missioni in paesi in via di sviluppo. E insomma, il curriculum è talmente denso, e le situazioni vissute talmente tante (dai sequestri allo tsunami in su e in giù) “che l’incarico al G7” (e G20), scherza un diplomatico, “in confronto è una passeggiata”. Per non dire degli eventuali intoppi lungo la via che si intravede all’orizzonte dopo la fine del mandato al Dis (nel 2025): ed ecco che, nei divertissement di fantapolitica, di nuovo la si vede adatta a tutto, da un valzer di partecipate al prossimo giro per il Quirinale. Lei, però, non ne parla. Se la si sente parlare, è poco e per cose che riguardano direttamente gli incarichi di volta in volta ricoperti, come quando, qualche tempo fa, Belloni, a proposito del bando per il reclutamento di nuovi agenti segreti, ha detto le famose tre parole: “Servono lealtà, riservatezza, capacità di sacrificio”. Hai detto niente. E infatti non dice mai niente, la sherpa di Giorgia Meloni al G7. O meglio: niente che esuli dallo stretto necessario, e anzi pare si spazientisca quando l’interlocutore gira attorno al problema con infiniti fraseggi o non arriva direttamente al punto da lei illustrato in modo veloce e preciso, pur con modi felpati da feluca e con il look gentile da principessa di Monaco (giacca lunga chiara, pantaloni scuri, pochi gioielli, poco trucco) e con l’abitudine a mediare tra diverse vedute politiche. Belloni ha lavorato infatti in ruoli complessi sotto i governi Monti (direttrice generale per la Cooperazione in tempi di spending review), Letta e Renzi (direttrice generale per le risorse e l’innovazione e capo di gabinetto), Gentiloni (segretario generale alla Farnesina). Da segretario generale si è trovata anche ad affrontare, nel 2016, il caso Regeni, per il quale, visto l’atteggiamento del governo egiziano, da subito ha sostenuto che la via percorribile non fosse giudiziaria ma politica e diplomatica. E’ impossibile che un uomo di sinistra la consideri di sinistra e uno di destra la consideri di destra, ma allo stesso tempo nessuno può dire che abbia preclusioni ideologiche verso l’una o l’altra. Con i Cinque stelle il rapporto è formalmente corretto ma ondivago (Belloni era stimata e anche “ostentata” come conoscenza da Luigi Di Maio, anche se poi lo stesso Di Maio fu accusato di non aver favorito, se non proprio di aver contribuito a fermare, la corsa dell’ambasciatrice al Quirinale). 

Figlia di un ingegnere che “le ha trasmesso un certo ordine mentale”, dice un conoscente di lunga data (il padre Giorgio, di origini padovane come il marito, ha progettato il ponte Punta Penna Pizzone a Taranto), e di madre modenese “tosta come lei”, Elisabetta Belloni, cosmopolita per forza di cose, torna volentieri di tanto in tanto in Emilia Romagna, nel piccolo paese di Pennabilli, dove sono sepolti i genitori e dove si trova la casa di famiglia che l’ambasciatrice ha cercato di conservare al meglio con un lungo lavoro di restauro dei pezzi d’antiquariato amati dal padre, appassionato di mobili antichi e frequentatore di fiere per diletto.

Nel novembre del 2023 il nome di Elisabetta Belloni è finito sul tavolo di Palazzo Chigi per l’eventuale sostituzione dell’allora consigliere diplomatico di Palazzo Chigi, Francesco Tatò, dimessosi dopo lo scherzo telefonico dei due comici russi alla premier Giorgia Meloni, anche se poi è stato nominato per quel ruolo l’ex ambasciatore a Tunisi Francesco Saggio. E i due, Belloni e Saggio, in questi mesi pre-G7 hanno centellinato informazioni con riunioni a porte chiusissime. Ma è Belloni che dovrà pensare al comunicato finale e controllare meticolosamente la macchina mediatica e organizzativa, pur di scongiurare gaffe e inconvenienti. Domani è dunque anche il suo giorno, giorno in cui deve mettere a segno da dietro le quinte gli incontri bilaterali. Non per niente è arciere: arco, freccia e bersaglio, dice il maestro ne “Lo Zen e il tiro con l’arco”, si intrecciano in modo che non sia possibile separarli, e se la freccia scoccata mette in gioco tutto, il bersaglio in qualche modo è anche l’arciere stesso.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.