Giorgia Meloni - foto LaPresse

Ringalluzzita dal voto

Meloni va avanti col premierato, a rischio di coalizzare la sinistra

Simone Canettieri

La premier è in modalità "o la va o la spacca" e si prepara a dare una bandiera unitaria al campo largo. Le nomine in Cdp e Rai

La marcia sulle riforme va avanti più bella e più superba che pria. Il giorno dopo il voto europeo Giorgia Meloni non partecipa al Consiglio dei ministri e vola in serata  in Puglia per le ultime cortesie per gli ospiti, i grandi della Terra, che arriveranno fra due giorni per questo G7 XXL. La leader di Fratelli d’Italia, forte del bagno plebiscitario con oltre 2,4  milioni di preferenze, non sembra intenzionato a frenare sulle riforme. Anzi. Il modello “o io o loro”  l’ha premiata nelle urne e intende replicarlo fino all’ordalia dei due referendum che si affacciano sulla legislatura. Il primo è quello sul premierato, spinto ieri anche da Ignazio La Russa come antidoto contro l’astensione. Oggi in Senato riprenderanno i lavori sulla “madre di tutte le riforme” da licenziare fra il 18 e il 20 giugno. Il tutto mentre la Camera tornerà a discutere di Autonomia. In attesa del via libera del Colle alla riforma della giustizia. Pronta a essere incardinata a Montecitorio già in settimana.
 

Giorgia Meloni sola sul palco del “Parco dei Principi” la notte del voto pare avere un approccio poco andreottiano: preferisce non tirare a campare. “Non ci sono motivi per rallentare le riforme. Anzi”, si danno di gomito i suoi consiglieri politici di primo piano. La capa della destra italiana non teme il tutti contro di me sul premierato e dopo il 28,8 delle europee resta convinta che la modalità “o la va o la spacca” sia comunque quella che più le si confà. Poco importa se il Pd è pronto alla pugna contro “la deriva autoritaria”. Sul premierato, al netto di un atteggiamento meno aggressivo e non più da campagna elettorale, la strategia non cambia: tirare dritto. Nella mappa dei passaggi parlamentari necessari alla doppia lettura l’obiettivo della premier resta quello di andare al referendum nella primavera del 2026. Senza impiccarsi sul dialogo con le opposizioni per evitare trattative poco fruttuose. Piccole concessioni di buon senso, ma nel merito l’impianto non cambierà. In questa ottica per evitare incididenti parlamentari Meloni è intenzionata a rafforzare la ministra per le riforme Elisabetta Casellati con un sottosegretario (casella lasciata libera da Vittorio Sgarbi al ministero della Cultura che non sarà riempita).
 

Sempre ad ascoltare i ragionamenti che girano in queste ore a Palazzo Chigi non dovrebbe esserci un accorpamento del referendum sul premierato con quello sulla giustizia, posto che la decisione è in mano al Quirinale. La norma cara al Guardasigilli Carlo Nordio, in mancanza del via libera dei due terzi del Parlamento, è destinata a essere giudicata dagli italiani a ridosso delle prossime elezioni, dunque nel 2027, se la legislatura finirà liscia, senza interruzioni traumatiche. “O io o loro” è il motto meloniano, offerto dalla premier agli italiani in piena sfida alle opposizioni. La premier analizzando anche i risultati degli alleati non teme sgambetti o irrigidimenti da parte di Lega e Forza Italia, fisiologiche contorsioni sì. Ma niente di pericoloso per la stabilità dell’esecutivo. E qui si entra su un altro nodo che la premier vuole sciogliere entro giugno: le nomine. Entro il 20 giugno Cassa depositi e prestiti arriverà al nuovo consiglio d’amministrazione. Dario Scannapieco, l’ad, è dato verso la riconferma.  Giovanni Gorno Tempini è stato indicato, di nuovo, dalle fondazione bancarie come presidente.

Il nome del nuovo presidente varierà a seconda di come si concluderà anche la partita di Ferrovie, materia di competenza  del vicepremier leghista e titolare dei Trasporti di Luigi Ferraris, a uscente, o l’ex ad di Terna Stefano Donnarumma che non dispiace a Salvini ma nemmeno a Meloni (visto che parlò dal palco dell’assemblea programmatica di Fratelli d’Italia a Milano nel 2022). Giugno porterà consiglio anche in questo caso. Meloni vuole chiudere. Gli incontri informali sulle nomine sono andati avanti anche durante la campagna elettorale, al riparo dagli attacchi e dalla competizione interna nel centrodestra. Così come il nuovo cda della Rai: altro appuntamento che entrerà  nel vivo alla fine del mese con il voto del Parlamento rispetto ai consiglieri indicati dalle Camere. Meloni esce dalle europee più forte. E dopo aver rimandato le scelte che contano vuole andare a dama. Ha preso da sola quasi la metà degli interi voti presi da Fratelli d’Italia. A dimostrazione che non se si fosse candidata capolista ovunque, personalizzando e stressando la contesa, il partito della nazione avrebbe avuto una presumibile battuta d’arresto. Questione di classe dirigente, ma questa si sa è un’altra storia.

Di più su questi argomenti:
  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.