Esclusiva

Paolo Signorelli: "Mi dimetto da portavoce di Lollobrigida: non sono antisemita, quello era un altro Paolo"

Simone Canettieri

Intervista all'ex comunicatore del ministro di FdI finito nella bufera per le chat con il narcotrafficante Diabolik: "Non mi riconosco in quel periodo e non frequento da anni la curva della Lazio. Lascio per la mia famiglia e per il governo"

“Ho deciso di dimettermi da portavoce del ministro Lollobrigida”. Perché? “L’ho fatto per me e per la mia famiglia, per non danneggiare il governo. Non voglio fare assolutamente la vittima, ma è giusto per tutti che ora mi faccia da parte”. Paolo Signorelli vuole essere raccontato per la persona che è oggi: lontano anni luce dall’antisemitismo, marito e padre di tre figli, “che ogni anno va a Medjugore”, che non si riconosce affatto nelle chat, in parole stupide pronunciate con sciocca inconsapevolezza, e in altri errori del suo passato. Si è trovato al centro di quello che gli avvocati romani in punta di diritto hanno denunciato come un abuso: una conversazione penalmente irrilevante estrapolata da una chat di un telefono senza una valutazione preventiva. Ormai resta il clamore. “Era un’altra fase della mia vita, quello era un altro Paolo: sono notizie che parlano di un tempo lontano a cui non faccio riferimento e in cui non mi riconosco in nessun modo”. Le frasi antisemite, i rapporti con Diabolik. Signorelli non vuole spingersi nel sentiero della ricostruzione di quel periodo. Né rilasciare interviste a cuore aperto. “Il passato non si rinnega, anche se si commettono errori. Ma da persona matura non sono più vicino ad ambienti che per tanti motivi ho frequentato”. Quali motivi? “Sono un ex calciatore, vengo da una storia famigliare che non rinnego (è il nipote dell’omonimo Paolo Signorelli, esponente dell’estrema destra e fondatore del centro studi Ordine nuovo,) e pur rimanendo un tifoso della Lazio  da anni non vado in curva”. Signorelli ieri ha incontrato Lollobrigida e gli ha comunicato la sua decisione. Il regime di autosospensione – pensato dopo le rivelazioni di Repubblica sulle sue conversazioni con il capo ultras della Lazio e della mala romana Diabolik, Fabrizio Piscitelli – è saltato. E’ un giornalista nato nel mondo delle radio private che orbitano intorno alla Lazio, passato dall’agenzia Adnkronos e poi con il gruppo FdI alla Camera. Il lavoro di comunicatore gli piaceva, dice. “Visti anche i rapporti con i miei colleghi che in questi giorni, in camera caritatis, mi hanno espresso solidarietà. Ma questa bufera mi impedisce di continuare a fare il mio lavoro: così ha rassegnato le dimissioni che il ministro ha accettato. Lo ringrazio per la vicinanza alla mia famiglia e la conferma della stima nei miei confronti. Ringrazio Giorgia Meloni, Arianna e tutti coloro i quali ho avuto il piacere di lavorare”.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.