l'editoriale del direttore
Tramortiti e confortati. Come leggere i risultati delle europee senza mettersi le mani nei capelli
Il buono dell'Italia. Ridimensionati i partiti populisti, puniti i filo Putin. Cosa salvare di questa tornata elettorale
A molti di voi, dopo il voto delle europee, potrebbe essere successo di sentirsi come ci siamo sentiti noi ieri notte, durante lo spoglio elettorale, e di ritrovarsi in una condizione grosso modo riassumibile così: emotivamente tramortiti e politicamente sollevati. La ragione che spiega il primo sentimento è facile da mettere a fuoco e riguarda il collasso del nostro amato macronismo. Immaginare che Marine Le Pen, un giorno, possa governare la Francia, immaginare cioè che un vecchio cavallo di Troia del putinismo che sogna di indirizzare la Francia verso un orizzonte dominato da protezionismo, xenofobia, anti europeismo, odio per la globalizzazione, scetticismo sulla difesa dell’Ucraina, è una prospettiva che stimola un insieme di reazioni che mette a dura prova il nostro ottimismo. E se a questo si aggiunge il fatto che i partiti italiani desiderosi di porsi come alternativa ai populismi hanno raggiunto, in tre, più o meno gli stessi voti ottenuti da Bonelli, Fratoianni e Salis, si capisce che essere frastornati, dopo questa tornata elettorale, è una condizione naturale per chi non si riconosce in nessuno dei poli usciti vincitori dalle elezioni in Italia.
Il sentimento che prevale con forza dopo questa tornata elettorale dovrebbe essere in teoria poco compatibile con la sensazione appena descritta. Eppure l’essere politicamente sollevati dopo il voto traumatico di sabato e domenica è un sentimento che esiste e vale la pena metterlo a fuoco. A livello europeo, non si può non essere sollevati, per esempio, dal fatto che, nonostante la crescita degli estremismi in Francia e in Germania (il partito di Le Pen è primo alle europee non da oggi bensì dal 2014, ma quest’anno è cresciuto di sette punti rispetto al 2019, mentre la notizia forte della Germania non è tanto il boom dell’AfD, al 14 per cento, cifra già raggiunta nel 2017, ma è il crollo dei partiti di governo, votati solo da un elettore su tre) alla fine dei conti la maggioranza europeista in Europa non solo non è in discussione ma attirerà nella sua orbita anche partiti un tempo anti europeisti come Fratelli d’Italia (Meloni voterà qualunque presidente della Commissione europea ed è impensabile che il partito che guida il governo di uno dei paesi fondatori possa rimanere fuori dalla stanza dei bottoni dell’Europa).
Si può essere sollevati da questo, osservando l’Europa dall’Italia. Ma si può essere sollevati, rispetto alle elezioni appena trascorse, anche osservando l’Italia dall’Europa e mettendo a fuoco la tenuta del nostro paese su molteplici fronti. L’Italia è l’unico tra i grandi paesi europei in cui a essere cresciuti sono stati solo i partiti europeisti e in cui a non essere cresciuti rispetto al passato sono stati prevalentemente i partiti populisti. Nel 2019, Lega e M5s totalizzavano il 50 per cento dei voti, oggi insieme non arrivano neppure al 20 per cento (10 per cento M5s, 9 per cento Lega).
Allo stesso modo è incoraggiante che gli elettori italiani abbiano scelto di premiare, nel centrodestra, i partiti che in questi ultimi mesi hanno provato a presentarsi agli elettori come alternative al modello Vannacci-Salvini. E la crescita di Meloni, poi, può non piacere a chi odia il centrodestra ma non può non far tirare un sospiro di sollievo a chi spera che l’Italia possa essere dominata da una destra diversa da quella lepenista (Meloni farà di tutto per avere nel suo gruppo parlamentare europeo, Ecr, il partito di Le Pen, ma questo non è incompatibile con la traiettoria che Meloni imboccherà per forza di cose: essere un ponte tra le destre popolari e quelle più estremiste).
Le europee, poi, hanno permesso di tirare un sospiro di sollievo anche a chi non ama il nuovo Pd. Perché è vero che l’algoritmo delle banalità dello SchleinGPT non incarna esattamente il profilo di una leader anti populista. Ma è anche vero che avere un Pd trainato da volti non allineati al verbo della segretaria (da Decaro a Bonaccini passando per Gori) è una buona notizia per chi si augura che il Pd non diventi la sesta stella del M5s. E d’altra parte è anche vero che avere un Pd che doppia abbondantemente il M5s (il 24 per cento contro il 10 per cento) è l’unico modo per poter sperare un giorno di avere un Pd in grado di mettere insieme, come è successo in piccolo al comune di Perugia, dove il centrosinistra è andato al voto con una coalizione che includeva dal M5s al Pd passando per Azione, tutte le anime politiche che non si riconoscono nel perimetro del centrodestra.
Si potrebbe poi nuovamente essere tramortiti pensando ai voti presi da Bonelli e Fratoianni (6,8 per cento) rispetto a quelli presi da Renzi, Bonino (3,8) e Calenda (3,7). Ma anche qui il flop dei centristi potrebbe contenere un buon auspicio per il dopo: cos’altro deve servire per capire che alle elezioni chi ha le stesse idee, chi ha gli stessi progetti, chi ha la stessa visione del mondo e chi ha lo stesso gruppo europeo di appartenenza non può andare al voto disunito, a meno che non voglia diventare nuovamente la barzelletta d’Europa?
Infine, a proposito di tenute, la tenuta che rallegra maggiormente, se si guarda l’Italia dall’Europa, se si guarda cioè un paese che in questo momento è un unicum nel continente, dove il populismo arretra e l’europeismo avanza, dove i partiti anti populisti prendono pochi voti anche perché la minaccia populista non è considerata più una minaccia dagli elettori, non perché il populismo non sia più un problema ma perché sono i leader un tempo populisti ad aver rinnegato la propria agenda populista, se si guarda insomma da lontano a un paese come l’Italia non si potrà non apprezzare quello che è il dato politicamente più importante di queste elezioni. Un dato che potremmo sintetizzare così. I partiti che avevano scommesso sulla bandiera bianca in Ucraina per provare a rubare voti ai propri alleati non sono stati premiati da una massa sterminata di elettori (vedi la Lega) e in alcuni casi sono stati addirittura puniti (vedi il M5s). I grandi partiti che hanno fatto della difesa dell’Ucraina una propria bandiera (FdI e FI) invece sono stati premiati. E i partiti che hanno tentato di trasformare le liste elettorali in un termometro utile a misurare l’insofferenza degli italiani verso il tema della difesa dell’Ucraina hanno scoperto quanto poco faccia presa sugli elettori di sinistra il pacifismo farlocco di chi spaccia la resa dell’Ucraina come unico orizzonte possibile per fermare la guerra (niente boom di Tarquinio) e di chi considera l’occidente responsabile di ogni nefandezza nel mondo (niente boom delle Sardine).
L’Italia, tutto sommato, insieme con Polonia e Spagna, è l’unico grande paese europeo che offre un dispiacere a Putin, che premia i partiti non anti sistema, che non boccia chi ha una posizione ferma sull’Ucraina, che non spinge verso l’alto gli emuli di Le Pen e di AfD e che incoraggia un partito un tempo ultra populista come Fratelli d’Italia a non interrompere il suo percorso di distanziamento dal populismo europeo e il suo percorso di avvicinamento al mainstream europeista. Meloni, da giovedì, guiderà i lavori del G7, a Borgo Egnazia, e lo farà forte di una condizione di cui in questo momento pochi colleghi del G7 possono beneficiare: essere alla guida di un paese con un governo tendenzialmente sempre più stabile, con un’opposizione potenzialmente sempre più ordinata, con un’economia incredibilmente sempre più in salute e con un numero di estremisti clamorosamente più basso rispetto al resto d’Europa. Tramortiti, sì. Confortati, anche.