L'europa del futuro
Cosa ci può guadagnare l'Italia con un governo von Der Meloni
Il patto tra Ursula e la premier non riguarda il “se” ma il “come”. E per capire il patto, bisogna seguire una pista dominata da donne: Baerbock, Schlein, Le Pen, Weidel. Come orientarsi in un risiko che può cambiare anche il nostro paese
L’Europa del futuro è, prima di tutto, una questione di donne. La candidata numero uno alla presidenza della Commissione è, lo sapete, la tedesca Ursula von der Leyen, volto scelto dai popolari europei per succedere a se stessa. Von der Leyen, per poter essere eletta, per poter creare un muro utile a difendere l’Europa dall’avanzata del partito di Marine Le Pen (Rassemblement national) e dall’avanzata del partito presieduto da Alice Weidel (AfD, Weidel è la portavoce federale, guida il partito insieme con Tino Chrupalla) ha bisogno dei voti dei partiti guidati da altre due donne.
Una di queste, ovviamente, è Giorgia Meloni, che con Fratelli d’Italia guida il gruppo europeo Ecr. L’altra è Annalena Baerbock, volto di punta dei Verdi tedeschi, guidati da Ricarda Lang (copresidente insieme con Omid Nouripour), i cui voti potrebbero essere decisivi per dare a Ursula la possibilità di avere le spalle coperte dai possibili franchi tiratori che complice il voto segreto che caratterizza la sessione in cui si voterà al Parlamento europeo il nuovo presidente della Commissione potrebbero provare a impallinarla. Per discutere su come allargare la possibile nuova coalizione Ursula, la presidente uscente dovrà poi coinvolgere nelle trattative la capogruppo uscente dei liberali al Parlamento europeo, la macroniana Valérie Hayer, che ha già detto che Renew rimane determinato a mantenere il “cordone sanitario” nei confronti del gruppo Ecr (gruppo guidato da Meloni) e anche la leader di un partito che esprimerà il maggior numero di deputati nel prossimo Parlamento tra le file dei socialisti europei: il Pd di Elly Schlein (21 europarlamentari, segue il Partito socialista spagnolo con 20), che esprimerà il prossimo capo delegazione al Parlamento europeo nel gruppo S&D.
Nelle triangolazioni femminili che guideranno le danze nel prossimo Parlamento europeo, la fotografia più importante, ovviamente, è quella messa in pagina dall’Economist nella cover di due settimane fa. In mezzo, c’è Meloni. Da un lato c’è Ursula. Dall’altro, c’è Le Pen. Al centro c’è un equilibrio spericolato ma interessante da studiare: capire fino a che punto Meloni riuscirà a stare con un piede in due scarpe sostenendo la prossima presidente della Commissione e provando contemporaneamente a far crescere il più possibile il suo gruppo europeo, Ecr, magari aprendo le porte alle destre che non avranno voce in capitolo nelle scelte politiche che contano della nuova Europa (come Le Pen) e tenendo la destra più estrema (AfD) lontana dal proprio gruppo per dimostrare che i veri estremisti (anche quelli di Identità e democrazia, gruppo dove si trova la Lega) sono altri e non sono i partiti che si trovano in Ecr.
E’ uno schema di gioco interessante, anche se spericolato, ma è lo schema di gioco che contribuirà a movimentare l’Europa del futuro. A quanto risulta al Foglio, da fonti governative, la scelta di Giorgia Meloni di sostenere la candidatura di Ursula non è legata al tema del “se” ma è solo legata al tema del “come”. Meloni è, per fortuna, intenzionata ad avvicinare il suo partito alla prossima maggioranza che dovrebbe nascere attorno a Ursula ed è intenzionata anche a sfidare il suo junior junior partner, la Lega, che ha fatto tutta la campagna elettorale contro Ursula (anche tappezzando alcune regioni con manifesti violenti contro la presidente della Commissione uscente). Diciamo per fortuna perché la scelta inevitabile che Meloni farà si porta dietro conseguenze che la premier dovrà gestire in modo forse diverso rispetto ad alcune svolte messe in campo negli ultimi mesi. Votare a favore di una presidente della Commissione insieme con i nemici di un tempo, compresi i socialisti, compresi i liberali, compresi i macroniani, non è una scelta che si può nascondere ma è una scelta che si deve spiegare, motivare e persino rivendicare e che potrebbe rappresentare un tassello ulteriore di un avvicinamento progressivo del melonismo, per così dire, verso il mainstream europeista. Meloni lo farebbe a modo suo, con un piede verso Ursula (e persino Elly) e un altro verso Marine, ma sempre distante dall’AfD di Alice & Co. Ma farlo la proietterebbe in una stagione nuova, di crescita, di responsabilità, di anti populismo e di anti trumpismo.
E’ un tema che riguarda il posizionamento, il potere, la possibilità di avere accesso alla stanza dei bottoni. Ma anche un tema che riguarda la capacità di poter avere un peso nelle partite che contano. Una tra queste è, ovviamente, ciò che potrebbe ottenere l’Italia in cambio, una volta fatto ciò che anche i sassi sanno: la nascita del governo von der Meloni. E se la trattativa dovesse andare in porto, quando sarà, Meloni avrà di fronte a sé tre strade. La prima corrisponde al bottino grande: chiedere per l’Italia il commissario europeo per il Mercato interno e i servizi, che attualmente comprende anche la Difesa. La seconda strada, minimale, è accontentarsi dell’Agricoltura, come fecero i polacchi del PiS nel 2019 quando da membri dell’Ecr votarono autonomamente per Ursula, che è sì la principale voce di spesa del bilancio europeo ma che è anche una voce di spesa già allocata da tempo e su cui i margini di intervento sarebbero minimi. La terza strada è puntare sull’ascesa in Europa di un meloniano fidato, come Raffaele Fitto, che verrebbe accolto a braccia aperte a Bruxelles e che potrebbe avere qualche chance nell’essere contemporaneamente vicepresidente della Commissione europea (ce ne sono undici di solito) e commissario responsabile ai Fondi di coesione. Governo von der Meloni: perché no?