ritardi in vista
La separazione delle carriere aspetta la firma di Mattarella, ma rischia di incagliarsi alla Camera
Dopo due settimane, il presidente della Repubblica non ha ancora firmato il disegno di legge di riforma costituzionale della magistratura. Il testo sarà esaminato per prima dalla Camera, che però si ritrova a che fare con un ingorgo di provvedimenti
Dopo due settimane ancora non è arrivata la firma del capo dello stato, Sergio Mattarella, al disegno di legge di riforma costituzionale sulla separazione delle carriere in magistratura e sul Csm, approvato in Consiglio dei ministri lo scorso 29 maggio. Il provvedimento si compone di otto articoli, ma va a modificare sei articoli della Costituzione che per 76 anni hanno delineato l’impianto fondamentale della magistratura italiana. Logico che tutto ciò imponga una valutazione tecnica piuttosto approfondita del capo dello stato, che peraltro è presidente di diritto proprio del Consiglio superiore della magistratura (e lo rimarrebbe per i due Csm separati previsti dalla riforma), anche se fonti del Quirinale ricordano come in questo momento al presidente della Repubblica spetti soltanto il compito di rintracciare eventuali palesi profili di incostituzionalità. Nessuno si spinge ad avanzare previsioni su quando la firma di Mattarella arriverà. Il Parlamento, intanto, si prepara ad accogliere il testo, che però rischia di finire vittima di un intasamento di provvedimenti.
Il ddl sarà incardinato presso la Camera dei deputati, per volontà dei partiti di maggioranza e soprattutto del presidente Lorenzo Fontana. Fino a oggi, infatti, tutte le principali riforme costituzionali e non, a partire dal premierato per arrivare all’autonomia differenziata e al primo pacchetto di riforma della giustizia, sono state esaminate partendo dal Senato. L’autonomia differenziata è stata approvata dall’Aula del Senato a gennaio, per poi passare alla Camera. Un mese dopo è toccato al primo “pacchetto Nordio” (quello che include l’abolizione del reato di abuso d’ufficio), di cui poi si sono perse le tracce. La prossima settimana, il 18 o al massimo il 19 giugno, l’Aula del Senato darà il primo via libera alla riforma del premierato.
Risulta comprensibile, dunque, l’intento di incardinare – per correttezza istituzionale – la riforma costituzionale della magistratura alla Camera, se non fosse che la commissione Giustizia di Montecitorio si ritrova ad avere a che fare con un ingorgo di provvedimenti da esaminare: il cosiddetto ddl sicurezza (contenente “disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario”), il primo pacchetto di riforma Nordio (che, oltre ad abrogare l’abuso d’ufficio, modifica la disciplina delle intercettazioni e prevede limiti alla carcerazione preventiva), la proposta di legge di riforma della giustizia contabile e delle funzioni della Corte dei conti. Il ritardo nell’esame delle proposte, riferiscono fonti parlamentari, sarebbe dovuto in alcuni casi all’assenza di indicazioni chiare da parte di Palazzo Chigi, ma in molti altri casi anche a problemi di organizzazione dei lavori della commissione.
Nell’attesa, alcuni capigruppo di maggioranza hanno cominciato a usare la calcolatrice per capire se sarà possibile ottenere sulla riforma costituzionale della magistratura un consenso sufficientemente ampio per evitare il passaggio referendario. La soglia è quella nota dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera. La maggioranza da sola (Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi moderati) non può contare su un numero di seggi sufficiente. Se Italia viva e Azione, però, decidessero – come sembra – di sostenere la separazione delle carriere e la riforma del Csm, sia alla Camera che al Senato si arriverebbe a sette-nove voti dalla maggioranza dei due terzi. Per raggiungere l’obiettivo basterebbe convincere alcuni esponenti del gruppo misto, o qualche senatore a vita, oppure – perché no – qualche parlamentare del Partito democratico. Andando a pescare, per esempio, fra i dem che nel 2019 firmarono la mozione Martina favorevole alla separazione delle carriere.