Prospettive europee

Zingaretti si sogna capogruppo dei socialisti europei, ma nelle urne non ha sfondato

Gianluca De Rosa

L'ex segretario, forte di un accordo con Schlein e dei numeri del Pd in Europa, puntava al ruolo di presidente del  gruppo dei socialisti e democratici. Ma dopo il voto la vinceda si complica

Il presidente della fondazione del Pd Nicola Zingaretti, troppo stretto nei panni del peone a Montecitorio dopo quattro anni alla guida delle provincia di Roma, dieci anni in regione Lazio e due alla guida del partito, adesso si sogna capogruppo dei socialisti europei.  E' con questa ambizione che ha accettato la richiesta di candidatura di Elly Schlein. Zingaretti però non aveva  fatto i conti con le preferenze. Aveva fissato il suo obiettivo a 200 mila voti, il risultato finale è poco più della metà: circa 125 mila preferenze (ma mancano ancora 78 sezioni elettorali a Roma), oltre 70 mila in meno. Ieri, entrando all’assemblea dei gruppi, convocata da Schlein per l’analisi del voto, Zingaretti non ha salutato  Dario Franceschini, né Claudio Mancini. I due capicorrente corresponsabili, a suo dire, del mancato exploit.  Avevano promesso di far scrivere il suo nome oltre a quelli di Matteo Ricci (nel caso di Mancini) e Dario Nardella (nel caso di Franceschini). Ma qualcosa deve essere andato storto. Con 21 eletti – tre in più del partito socialista spagnolo, sette del Spd e addirittura nove dei socialisti francesi – il Pd sarà la prima delegazione per numeri nel gruppo dei socialisti e democratici all’Europarlamento. E quindi sarebbe quasi naturale che siano  i dem a esprimere il capogruppo. Non solo questione di prestigio. Si tratta di un ruolo tutt’altro che irrilevante. Il presidente di un gruppo politico, tanto più il secondo del Parlamento, ha un potere significativo. Soprattutto se lo sa usare. Ed è in grado di dialogare con il Ppe (cosa che la capogruppo uscente, la spagnola Iratxe Garcia Perez, non è riuscita a fare bene in quest’ultima legislatura,  rendendo molto complicata una sua conferma). Si tratta ovviamente di incidere sull’agenda del Parlamento, sui posti nei piani alti dell’amministrazione, e di poter avere un’influenza e una capacità contrattuale nelle trattative di medio-alto livello. Occorrono leadership interna, abilità, sveltezza e capacità di prendere rischi e a fare compromessi. Doti che l’ex segretario ritiene di avere. Ieri chi lo ha visto all’assemblea dem ha notato una certa stanchezza. Si è  seduto accanto a Flavio Alivernini, il portavoce  di  Schlein. “Con Elly l’accordo per fargli fare il capogruppo regge”, assicurano le gole profonde del partito.

 

E però la questione è complicata. Sia per ragioni interne, sia per motivi esterni. Il grosso delle preferenze del Pd viene dagli amministratori riformisti. Non solo Decaro. Ma anche Stefano Bonaccini (390 mila preferenze),  l’ex sindaco di Bergamo Giorgio Gori (210 mila preferenze) e pure gli ex primi cittadini di Firenze e Pesaro, Dario Nardella e Matteo Ricci che hanno sfondato il muro delle 100 mila preferenze. Tutti sommati valgono oltre 1,3 milioni di voti. Numeri decisamente superiori a quelli della stessa Schlein che, sommando i voti dei due collegi in cui si è candidata (centro e isole), supera di poco le 250 mila preferenze. Questo patrimonio politico però almeno per adesso non sarà speso dai riformisti. Nessuno vorrà usarlo per questionare cambi in segreteria o cose del genere. Ma a livello sotterraneo potrebbe partire una trattativa proprio per il ruolo a cui aspira Zingaretti. Non sarebbero né Bonaccini,  presidente del partito, né Decaro, pronto a candidarsi governatore in Puglia e  ormai  incoronato dal voto leader alternativo a Schlein, a insidiare l’ex segretario. Ma l’ala riformista può avere lo stesso gioco facile a chiedere a Schlein di proporre nomi diversi. Persone magari con maggiore esperienza all’Europarlamento (Zingaretti c’è stato, ma 20 anni fa e con oltre 200 mila preferenze, all’epoca) e migliori entrature nell’attuale gruppo socialista, dove poi, di fatto, si elegge il capogruppo. Due nomi su tutti: Irene Tinagli, che nel nord-ovest ha raccolto quasi 80 mila preferenze, e la vicepresidente uscente del Parlamento europeo Pina Picierno che al sud ha fatto un risultato analogo a quello dell’ex governatore del Lazio. Non basta infatti l’indicazione di Schlein per avere la poltrona di capogruppo. Occorre trattare con i partiti alleati di tutta Europa. Anche perché i socialisti francesi posso contare su un nome forte, Raphael  Glucksmann, e anche l’Spd ha candidati spendibili, mentre gli spagnoli hanno anche il vantaggio di governare il paese. Servono quindi nomi in grado di convincere il gruppo.  Zingaretti, il candidato a tutto, sogna. I posti in ballo per il Pd sono anche quelli di vicepesidente dell’eurocamera e capodelegazione. 

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