Marine Le Pen (foto Epa, via Ansa)

l'editoriale del direttore

Il lepenismo è nemico dell'Italia

Claudio Cerasa

L’ascesa del lepenismo non è solo un guaio per la Francia di Macron: può diventarlo anche per l’Italia di Meloni. Ragioni per non assecondare una deriva incompatibile con la tutela degli interessi italiani. Esempi concreti

Gli equilibri sono cambiati, i calcoli sono comprensibili, gli scossoni francesi avranno riflessi fuori dalla Francia e si capisce che la nuova destra europea (e anche quella italiana) sia alla ricerca di un nuovo assetto, di un nuovo bilanciamento, di un nuovo rapporto tra anime diverse che spesso, pur essendo a destra, non sempre riescono a parlarsi. In Francia, lo sapete, i repubblicani, almeno una parte di essi, hanno sdoganato il partito di Marine Le Pen. In Italia, lo sapete, uno dei partiti che si trovano al governo, la Lega, dice che Fratelli d’Italia deve avvicinarsi alla Le Pen e non al Ppe. In Europa, lo avrete visto, i popolari chiedono a Meloni di mettere da parte i rapporti con Vox e fare un passo verso l’accordo con il Ppe. In Ungheria, Orbán sogna di avvicinarsi al gruppo di Meloni, Ecr, ma la presenza in quel gruppo di una destra anti Putin, come il PiS, rende difficile questa collaborazione. Le destre, quando sono in campagna elettorale, cercano di trovare punti di contatto tra loro identificando un avversario comune. Ma quando dalla campagna elettorale si passa alla formazione di un governo i punti di frattura aumentano, improvvisamente si illuminano, e le differenze tra le destre europee si manifestano con chiarezza alla luce del sole.

La grande differenza che esiste oggi tra le destre europee riguarda naturalmente il posizionamento rispetto alla difesa dell’Ucraina ed è evidente che le destre pro Zelensky non possono trovarsi nello stesso campo di gioco delle destre anti Zelensky. Da questo punto di vista, la distanza che esiste tra Giorgia Meloni e Marine Le Pen, i due volti emergenti delle destre europee, non potrebbe essere più grande. Meloni, al governo, ha fatto tutto il necessario per sostenere l’Ucraina. Le Pen, in Francia, per molto tempo ha fatto lo stesso gioco degli utili idioti del putinismo, mostrando vicinanza all’Ucraina solo a ridosso della campagna elettorale. Basterebbe questo per ricordare a Meloni perché la destra che sta costruendo in Italia non è compatibile con la destra che sta emergendo in Francia.

Ma accanto a questo ovvio elemento di valutazione ce n’è un altro che dovrebbe suggerire alla premier italiana qualche ragione ulteriore per augurarsi che i progressi dei lepenisti in Francia, e in Europa, restino un fenomeno isolato e non travolgente. E la ragione è presto detta. Tutto quello di cui ha bisogno l’Italia nei prossimi anni per prosperare, per crescere, per rafforzarsi, per difendersi dai nemici esterni è legato in buona parte alla capacità dell’Europa di arginare gli istinti lepenisti. Il lepenismo, che in fondo è una versione ancora più estrema del salvinismo, con la differenza che Salvini lo abbiamo già visto all’opera mentre Le Pen ancora no, promuove il protezionismo, osteggia la globalizzazione, combatte l’integrazione dell’Europa, ripudia l’idea che vi possa essere una qualche forma di solidarietà quando si parla di migranti, si oppone a ogni tentativo dell’Europa di mettere in condivisione il debito comune. Le Pen vuole che l’Ue diventi una “associazione di nazioni libere”. Giorgia Meloni, come ha avuto modo di dire a Emmanuel Macron esattamente un anno fa durante un delizioso duetto all’Eliseo, sostiene che l’Italia debba lavorare con la Francia “a difesa dell’interesse nazionale dei propri paesi e della sovranità strategica dell’Europa”, a favore di una solida “difesa europea”, alla ricerca di una comune “riforma del governo dell’Eurozona”, nella consapevolezza che “Roma e Parigi debbano lavorare insieme a livello bilaterale e multilaterale per favorire una proiezione internazionale del nostro continente” e nella convinzione che l’immigrazione non possa essere fermata alzando muri nazionali ma debba essere governata coinvolgendo i partner europei, nel “pieno coinvolgimento” dell’Unione europea, come detto proprio da Meloni da Macron.

Può essere suggestivo, per i follower di Meloni, immaginare che vi possa essere una qualche simmetria tra l’ascesa di “Giorgia” e l’ascesa di Le Pen. Ma la verità, per quanto possa essere questa amara per i nostalgici del sovranismo all’italiana, è che quando si parla d’Europa l’agenda Meloni è più vicina all’agenda Macron che all’agenda Le Pen per una ragione fin troppo semplice. Per proteggere l’interesse nazionale di un paese come l’Italia, un paese con un debito alto, una crescita bassa, molti migranti dall’altra parte del mare, molti contratti sottoscritti con Bruxelles via Pnrr, occorre chiedere all’Europa di fare di più, di essere più presente, di essere più generosa. E per chiedere all’Europa tutto questo c’è solo un modo: sperare che nell’Europa del futuro conti un po’ meno l’agenda Le Pen e un po’ più l’agenda Macron. L’ascesa del lepenismo non è solo un problema per la Francia di Macron ma può diventare un problema anche per l’Italia di Meloni. Più lepenismo uguale meno Europa. Meno Europa significa meno solidarietà. Meno solidarietà significa meno flessibilità. Meno flessibilità significa meno aiuti da Bruxelles. Meno aiuti da Bruxelles significa indebolire non solo l’Italia ma anche l’Europa. Putin non potrebbe sognare di meglio.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.