La lettera
Lo psicodramma del M5s visto con gli occhi di chi ha lasciato il M5s
L'assenza di una classe dirigente e di una visione di società condivisa dall'elettorato sono i due limiti del Movimento. L'intervento dell'ex sottosegretario all’Agricoltura L'Abbate
Al direttore - Dopo ogni elezione europea arriva puntuale lo psicodramma per il Movimento 5 Stelle. E' successo nel 2014, quando nonostante il 22 per cento Beppe Grillo dichiarò di aver preso il Maalox, e di nuovo nel 2019 ed oggi 2024. Un risultato che personalmente non mi ha sorpreso, viste le caratteristiche intrinseche del Movimento stesso. Due su tutte. Primo. Il leader non si candida (regola che considero sacrosanta, se non fosse che agli italiani piace votare gente che poi non ricoprirà la carica per cui l’hanno votata, ma questo è un problema di chi vota e non di chi si candida). Secondo. L’assenza di una classe dirigente, dato che, anche per via della regola del doppio mandato, ogni volta che c’è un’elezione si candidano persone sconosciute, che non hanno la capacità di attrarre preferenze perché non sono in grado di fare quel lavoro quasi scientifico “casa per casa” caratteristico di chi frequenta le sezioni di partito fin da giovane (stesso problema lo ha in parte anche FDI, basta vedere la differenza di risultati tra le Europee e le comunali).
Il problema più grande però, a mio parere, è che quando sai di avere queste caratteristiche, devi iniziare a creare una classe dirigente formando gli attivisti sui territori (non è più ammissibile per una forza politica che ha governato il paese avere nei gruppi territoriali attivisti con scarsa conoscenza della Pubblica Amministrazione a qualsiasi livello) e puntare tutto sul voto di opinione. E il voto di opinione lo sposti solo se hai delle idee, se hai una visione di società condivisa dall’elettorato, che si rispecchia quindi in quel simbolo e riserva il suo voto. Per questo motivo, in uno dei pochi colloqui diretti avuti personalmente con il presidente Giuseppe Conte, proposi di impostare quello da lui definito “nuovo corso” su un programma di riforme serio, basato sull’esperienza accumulata negli ultimi 10 anni di attività politica. Un percorso che portasse ad abbandonare alcune proposte chiaramente fuori dalla realtà in favore di riforme che portassero il Paese sui binari della crescita economica. Dare, insomma, una visione chiara e pragmatica di paese.
L’Italia ha bisogno di una riforma dell’istruzione in cui si introduce la valutazione degli insegnanti, perché i giovani, che sono il futuro del Paese, devono avere la miglior formazione possibile. Ha bisogno di una riforma della Pubblica Amministrazione basata sulla valutazione dei dipendenti pubblici, dove si ribalti il principio che si fa carriera per anzianità e non per merito. Serve una riforma della giustizia che si esprima in tempi brevi e non dia giudizi contraddittori, e una riforma del fisco che punti alla crescita e al lavoro, non all’evasione. Una riforma vera sulla concorrenza che liberalizzi tutta una serie di settori in modo da avere servizi migliori a costi più bassi per i cittadini.
Insomma, proposi di abbracciare un programma che fosse realmente rivoluzionario per il nostro Paese, ma che nessuno aveva mai avuto il coraggio di abbracciare per un semplice motivo: non andare contro le corporazioni su cui il nostro Paese si poggia dai tempi del fascismo. Le ultime elezioni europee confermano e rinforzano ancora una volta il mio pensiero e la mia decisione di lasciare il Movimento. Se il Movimento vuole ritornare a essere quella forza innovatrice del paese, non deve concentrarsi sulle persone, quelle verranno e sarà necessario formarle, ma – anche se so, direttore, che su questo giornale avete idee diverse sul tema – sulla forza delle idee e della visione del paese per i prossimi 20 anni.
Giuseppe L’Abbate è ex deputato M5s ed ex sottosegretario all’Agricoltura