Incontri bilaterali al G7
La moral suasion tra Bergoglio e i leader europei
Pace, armi e diritti. Da Zelensky a Macron fino al cattolico Biden. Tre vis-à-vis non facili per il Papa
Al di là dell’annunciato intervento di Francesco sull’intelligenza artificiale, il clou a Borgo Egnazia sarà la lunga teoria di incontri bilaterali. Il Papa discuterà a tu per tu con la direttrice generale dell’Fmi, Kristalina Georgieva, con Volodymyr Zelensky, Emmanuel Macron, Justin Trudeau, Narendra Modi, Joe Biden, Lula, Recep Tayyip Erdogan. Quindi con il presidente keniota William Ruto e quello algerino Abdelmadjid Tebboune. E parlerà di pace, di come arrivarci e di come porre fine alle guerre. Al di là dei sorrisi e delle strette di mano, è arduo immaginare che le posizioni saranno comuni. Anche perché con alcuni di questi leader i rapporti non vanno al di là della cordialità di rito. In Vaticano ricordano ancora il gelido incontro con Zelensky di un anno fa, quando da Kyiv pubblicarono un comunicato che chiarì come era andata l’udienza: “Con tutto il rispetto per Sua Santità, non abbiamo bisogno di un mediatore tra l’Ucraina e l’aggressore che ha sequestrato e occupato il nostro territorio”.
In Ucraina le posizioni di Francesco sul conflitto sono da tempo considerate un assist involontario alla politica del Cremlino e chissà se Zelensky metterà sul tavolo la questione della “bandiera bianca”, che il Papa espose in una delle consuete interviste televisive lo scorso inverno. Non che con Macron il canovaccio sia molto diverso: se una certa tensione s’era già avvertita lo scorso settembre in occasione della visita del Papa a Marsiglia – “Vado a Marsiglia per gli incontri del Mediterraneo, non in Francia”, si premurò di dire – è la linea francese sul conflitto in Ucraina ad aver scavato un ampio fossato che già divideva la Santa Sede da Parigi. Mentre Francesco grida che il problema sono le fabbriche e i fabbricanti di armi, Macron è in prima linea non solo nell’auspicare un invio più consistente di strumenti bellici a Kyiv, ma anche di uomini (istruttori, per ora) al fronte. Per non parlare delle diverse linee di pensiero (eufemismo) sull’aborto, che il capo dello stato francese vorrebbe fosse promosso a principio cardine del vivere comunitario.
Ma è sulle relazioni con gli Stati Uniti che si concentrerà l’attenzione degli osservatori: per anni, quando alla Casa Bianca c’era Donald Trump, si giustificava la freddezza di Francesco verso l’America con l’inconciliabilità di programmi e visioni sul destino del mondo con il presidente repubblicano. Poi, quando Biden vinse, ci fu chi pronosticò il rinascere di un asse fra Roma e Washington, sottolineando il fatto che con il cattolico Biden il terreno in comune sarebbe stato trovato più facilmente. Errore.
A ormai quattro anni di distanza, Francesco non ha mutato approccio nei confronti degli Stati Uniti, guardati da lui sempre con diffidenza. L’impero yankee che vuole esportare la democrazia, uniformando il mondo ai propri princìpi, servendosi della Nato e dei suoi carri armati. Francesco è pur sempre un ottantasettenne argentino che ha vissuto l’idiosincrasia del suo popolo per i moderni conquistadores del nord. Anche sui temi sensibili, c’è stato poco da intendersi: se Trump – solo per tenersi buono l’elettorato evangelico, non certo per convinzione personale – cavalcava le battaglie pro life e nominava alla Corte suprema giudici graditi a quel mondo, Biden è il cattolico del Delaware che appena può ribadisce il sostegno al diritto di aborto (che per il Papa è “il diritto di ammazzare qualcuno, come quando si affitta un sicario”). Sono questi (insieme alle migrazioni e ai muri da abbattere lungo il confine con il Messico) i temi sul tavolo di una relazione assai complicata che la comune fede non è finora riuscita a cementare. L’unico punto d’intesa, chissà, potrebbe essere il piano per la fine della guerra fra Israele e Hamas. Lo si scoprirà presto.