Chiamatelo pure Adolfo Urss. Prima la farsa e poi la tragedia

Luciano Capone

Urso ammette che la denuncia contro il Foglio per il soprannome è pretestuosa, ma evoca un complotto: avremmo tentato di impedirgli di ottenere il consenso nel governo di cui è ministro

Contrordine compagni! Ma quale “denigratorio”, al ministro Adolfo Urso va benissimo essere chiamato “Adolfo Urss”, è talmente autoironico che ora è lui stesso a firmarsi così. Dopo le polemiche per l’avvio di un’azione civile nei confronti del Foglio (e del Riformista) dal valore compreso tra 250 e 500 mila euro, contestata soprattutto da molti commentatori liberali e di destra (da Nicola Porro a Giuseppe Cruciani, da Daniele Capezzone di Libero a Luigi Mascheroni sul Giornale passando per Giovanni Sallusti), il ministro delle Imprese prende carta e penna e scrive al Corriere della Sera per rispondere ad Aldo Grasso che pure aveva criticato la causa ai giornali per quel nomignolo.

Non è così, scrive Urso a Grasso, lui aveva pure un nonno Adolfo comunista che voleva convertire il nipotino al sovietismo, pertanto “l’iniziativa giudiziaria che ho intrapreso non è riferita al nomignolo Urss attribuitomi reiteratamente dai giornalisti per quasi un anno”. Ohibò. Eppure nell’istanza di mediazione civile Urso cita degli articoli “ove si ricorre all’utilizzo di un nomignolo originale, ma dai connotati fortemente denigratori, quale Adolfo Urss”.

Ora scopriamo dallo stesso ministro, prima ancora di sederci al tavolo della mediazione, che la motivazione che egli ha dichiarato come lesiva “dell’onore e della reputazione” è falsa. Il “nomignolo originale” Adolfo Urss non è più “fortemente denigratorio”, come invece ha fatto scrivere pochi giorni fa al suo avvocato Gianluca Brancadoro. “La denuncia ha invece come oggetto la campagna diffamatoria – scrive sempre il ministro – le cui finalità sono apparse del tutto evidenti nell’articolo Terapia d’Urso pubblicato sul Foglio il 19 febbraio 2024. Una campagna tesa a impedire... che il ministero ottenesse il consenso in sede di governo per commissariare Acciaierie d’Italia (l’ex Ilva)”.

Altro che nomignolo, qui la faccenda è molto più grave: c’è stato un complotto! Questo giornale avrebbe tentato di impedire che il ministro Urso riuscisse a convincere il governo di cui lui fa parte sul commissariamento dell’Ilva. Avevamo una sponda interna? Chissà. Riguardo alla capacità di determinare le decisioni di politica industriale del governo Meloni, Urso deve avere un’alta considerazione di questo giornale (cosa che un po’ ci lusinga) e una bassa considerazione di se stesso (cosa che un po’ ci dispiace).

In ogni caso, la lettera al Corriere sta trasformando una vicenda che appariva grottesca in una questione più seria. In primo luogo, un ministro della Repubblica ammette candidamente – dopo le critiche e il contraccolpo d’immagine – di aver intentato contro un giornale una denuncia pretestuosa. Letteralmente. Nell’atto giudiziario sostiene che il nomignolo “Adolfo Urss” aveva “connotati fortemente denigratori” e pochi giorni dopo scrive che era solo un pretesto: la reale motivazione è un’altra, che però non ha fatto specificare dal suo legale.

Ma c’è di più, o meglio, di peggio. Per Urso, il Foglio voleva sabotare il commissariamento dell’Ilva. Negli articoli contestati non c’è traccia di questa intenzione, ma solo – in quello del 19 febbraio 2024 – una descrizione del dibattito interno al governo sulla nazionalizzazione. Il suo è un processo alle intenzioni. Ma ammesso e non concesso che quella fosse la finalità recondita e implicita del Foglio, qual è il problema? Avere un’idea diversa di politica industriale rispetto al ministro delle Imprese è una colpa da pagare con centinaia di migliaia di euro?

Se, invece, si ipotizzasse un complotto internazionale nell’interesse di potentati stranieri per sabotare la politica industriale del governo e minare la sovranità della Nazione, allora il ministro avrebbe dovuto intraprendere ben altre iniziative. Quella ad esempio scelta dal ministro della Difesa Guido Crosetto che, quando ha letto la pubblicazione di notizie riservate, ha fatto un esposto in procura portando alla scoperta del “caso Striano” e al “verminaio” degli accessi abusivi ai sistemi informatici.

In questo caso, Urso non chiede a una procura di perseguire un reato, ma si fa promotore di un’azione civile in cui lo sbocco è un risarcimento per se stesso: come se l’interesse della Nazione coincidesse con la sua persona. Ma così la vicenda Urss, ribaltando Karl Marx, prima si manifesta come farsa e poi come tragedia.

 

Di più su questi argomenti:
  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali