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cooperazione internazionale

Decarbonizzazione e nucleare: il futuro è adesso, ma senza ideologie

Giuseppe Zollino

Il G7 e gli atti di Pichetto sono passi avanti, ma sull’atomo Meloni deve chiarire se vuole fare sul serio o restare alle promesse elettorali

Bene che nella dichiarazione finale del G7 si sottoscriva l’impegno a rafforzare la cooperazione internazionale per lo sviluppo della fusione. Cooperazione che, a dire il vero, va avanti con grandi successi, ed eccezionali contributi italiani, specie per la fusione a confinamento magnetico, dalla fine degli anni ‘50. E il progetto Iter, in costruzione in Francia, ne è oggi la principale testimonianza. Va benissimo inoltre che recentemente capitali privati si siano aggiunti agli investimenti pubblici, aumentando le possibilità che nuovi  step di sviluppo vengano raggiunti. Peccato che riguardo l’energia nucleare, quella oggi già disponibile, affidabile, sicura, pulita ed economicamente competitiva, impiegata in 5 dei 7 paesi del G7, oltre che in numerosi altri paesi sviluppati, le stesse conclusioni siano del tutto insufficienti.
 

Scrivere che “i paesi del G7 che scelgono di utilizzare l’energia nucleare o ne sostengono l’uso riconoscono il suo potenziale come fonte di energia pulita a emissioni zero e ribadiscono il suo potenziale nell’accelerare la transizione verso zero emissioni e nel migliorare la sicurezza energetica globale” è un’inutile tautologia che misconosce dati empirici grandi come macigni e induce al pessimismo sulle reali possibilità di raggiungere l’ambiziosissimo obiettivo mondiale della neutralità climatica entro il 2050, nel modo più efficiente e sostenibile, l’unico davvero realizzabile.
 

Infatti, il principale governo del G7 ideologicamente contro è in carica in un paese, la Germania, che, avendo scelto, per scientificamente immotivato pregiudizio, di rinunciare al nucleare, l’anno scorso per generare la sua energia elettrica ha emesso nove volte più anidride carbonica della Francia: 425 grammi di CO2 per kWh contro appena 45. E la Francia emette così poco da oltre 35 anni, grazie alla sua flotta di centrali nucleari costruite in meno di 20 anni. Scelte ideologiche, errate e costosissime, a parte, molto grave sarebbe pensare oggi di poter razionalmente condurre la lotta ai cambiamenti climatici facendo a meno del nucleare a fissione. Peraltro senza dirlo esplicitamente, ma mascherando la scelta irragionevole con la piuttosto fantasiosa affermazione che le centrali a fusione sono oramai “dietro l’angolo”, e perciò tanto vale aspettare la fusione.
 

Per evitare dannosissimi e costosissimi equivoci, è bene chiarire una volta per tutte che si chiama “centrale nucleare commerciale”, a fissione o a fusione che sia, un impianto in grado di erogare la potenza elettrica nominale, in modo continuo, per 7.500-8.300 ore all’anno, per 50-60 anni, con costi tali da contribuire a ridurre: a) i costi complessivi di un sistema elettrico privo di emissioni; b) le superfici complessivamente occupate da tutti gli impianti; c) la quantità di materiali di ogni tipo necessari a costruire gli stessi impianti, rispetto all’alternativa di impiegare solo tecnologie a fonte rinnovabile, sistemi di accumulo, potenziamenti di rete, ecc. In questo modo permettendo la composizione di un mix a zero emissioni più sostenibile e al tempo stesso bollette energetiche più basse per cittadini e imprese.
 

Ciò detto, la comunità scientifica internazionale della fusione, oggi impegnata a superare i numerosi colli di bottiglia sia fisici (confinamento) che tecnologici (divertore, prima parete, blanket) e poi ancora tutti i successivi problemi di durata, affidabilità e gestione delle diverse parti dell’impianto, sa che, se tutto andrà bene, una “centrale commerciale a fusione” potrebbe essere disponibile verso fine secolo. E in quel “se tutto va bene” è incluso il rafforzamento della  cooperazione internazionale e gli adeguati finanziamenti di cui nelle provvidenziali conclusioni del G7
 

Purtroppo, il sospetto che il governo italiano sull’impiego dell’energia nucleare non abbia idee chiarissime né coerenza di visione è forte. Nel suo programma per le europee, il partito della premier, di gran lunga il più “pesante” nella coalizione di governo, il nucleare a fissione, quello oggi disponibile, affidabile, sicuro, pulito ed economicamente competitivo, nemmeno lo nomina. Nel capitolo sull’energia si parla di diversificazione degli approvvigionamenti (incluso lo sfruttamento delle risorse nazionali), di rinnovabili e di idrogeno; e si menziona la fusione come tecnologia tra quelle da sviluppare per il futuro. Tanto che, non fosse per le risorse nazionali, si farebbe fatica a distinguerlo dal programma del Pd. 
 

Dall’altra parte della barricata, il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin annuncia – abbiamo letto  sul Foglio – che la versione finale del Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) conterrà un’indicazione di scenario di lungo periodo (2050 o giù di lì) nel quale i circa 700 TWh (più del doppio del fabbisogno odierno) di energia elettrica saranno generati da un mix di rinnovabili e nucleare. Una svolta epocale, assolutamente benvenuta, che risulta ovvia a chi lasci da parte i pregiudizi  e simuli il sistema elettrico futuro, privo di emissioni, tenendo conto dei reali profili orari della domanda elettrica (una domanda che include nuove tipologie di consumo, come trasporti,  riscaldamento,  produzione di idrogeno) e della generazione solare ed eolica in Italia. Il secondo importante annuncio del ministro Pichetto è che egli procederà al necessario adeguamento normativo, inclusa l’autorità di sicurezza nucleare e la modalità di remunerazione dell’energia elettronucleare, a partire dai contratti a due vie, ora applicabili anche al nucleare e non più solo alle rinnovabili, secondo la rinnovata regolamentazione Ue del mercato elettrico. 
 

L’auspicio è che il lavoro proceda spedito e senza interruzioni, con la partecipazione costruttiva delle opposizioni e senza sabotaggi: è in gioco una sfida epocale, come quella della lotta ai cambiamenti climatici, che durerà per molti governi, per cui serve ragionare da statisti e non da politicanti interessati solo alla prossima scadenza elettorale. Tanto è importante che il quadro regolatorio venga messo a punto presto e bene, che non è necessario discutere ora della potenza nucleare complessiva necessaria a regime, né della taglia unitaria dei reattori. Una volta adeguate le norme, la taglia la decideranno gli investitori, i quali – com’è ovvio – sceglieranno di costruire reattori della migliore tecnologia commercialmente disponibile. Come accade del resto in tutto il mondo, dove nessuno confonde deliberatamente tecnologie mature e commercialmente disponibili, con tecnologie in via di sviluppo. In fondo a volte non serve inventarsi nulla, basta solo seguire scienza, buone pratiche internazionali e buon senso.