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L'editoriale del direttore

Difendere Israele per difendere la libertà. Anche quando si parla di Pride

Claudio Cerasa

Essere Lolita a Teheran, oggi, è alquanto difficile. Essere un omosessuale in medio oriente anche. Perché sventolare la bandiera dello stato ebraico al prossimo Pride, a proposito di diritti, aggrediti e aggressori

Pochi giorni fa, lo sapete, molte piazze italiane si sono tinte con gli splendidi colori dell’arcobaleno e diverse città del nostro paese hanno ospitato numerosi festeggiamenti dedicati al Pride. Il 29 giugno sarà la volta di Londra e di Parigi. Il 27 luglio, pochi giorni dopo la finale degli europei, sarà la volta di Berlino. Il Pride italiano è stato vivace e a tratti spettacolare. Ma come tutti i Pride che si andranno a succedere nei prossimi mesi ha dovuto fare i conti con un cortocircuito importante, osservando il quale è possibile capire con facilità alcune clamorose ipocrisie che riguardano un pezzo non indifferente del popolo dei diritti che manifesta per avere più libertà nel mondo. In alcune piazze, lo avrete visto, il Pride si è trasformato in una manifestazione a sostegno della Palestina, e di forte critica a Israele, e proprio l’annunciato clima di ostilità nei confronti di Israele ha suggerito all’organizzazione ebraica lgbtq+ “Keshet” di evitare di partecipare ai Pride organizzati a Roma, Torino, Bergamo e Catania.

Ai nemici di Israele, soprattutto a quelli che si considerano militanti di sinistra, capita spesso di entrare in contraddizione quando si sceglie di demonizzare ideologicamente lo stato ebraico. Può capitare che vi siano manifestanti particolarmente interessati al tema della difesa dei diritti delle donne che nel protestare contro Israele si ritrovano a essere elogiati dagli ayatollah iraniani, che arrestano, torturano e uccidono le donne che osano presentarsi in pubblico senza velo. Può capitare che vi siano manifestanti particolarmente interessati a difendere la libertà nel mondo che nel protestare contro Israele si ritrovano ad avere posizioni simili a quelle assunte da molti paesi in giro per il mondo che la libertà, insieme con la democrazia, la combattono, la osteggiano, la disprezzano. Può capitare che vi siano manifestanti molto attivi nella difesa dell’ambiente che nella foga anti occidentalista si ritrovano a protestare contro l’unico stato del medio oriente che ha mosso passi verso una tutela dell’ambiente in un contesto in cui tutti i paesi dell’area sono tra i maggiori produttori di combustibili fossili del mondo. Può capitare che vi siano manifestanti particolarmente interessati a difendere il mondo dall’avanzata dei nuovi fascisti che nel protestare contro Israele si ritrovano perfettamente allineati alle nuove ideologie fasciste e islamiste in base alle quali la Palestina deve vivere dal fiume al mare, from the river to the sea. E può capitare, come è successo in qualche Pride, come succederà in altri Pride, che vi siano sedicenti liberali di sinistra che scendono in piazza contro Israele dimenticandosi chi tra Hamas e Israele, sul tema dei diritti, non solo quelli degli omosessuali, gioca la parte dell’aggressore. Nella Striscia di Gaza, per chi non lo sapesse, i palestinesi che rientrano nella categoria lgbtq+ devono sottostare alla legge di Hamas. 

La legge di Hamas è la sharia. E secondo la sharia l’omosessualità non è solo illegale ma è punibile con misure estreme, compresa la tortura e l’esecuzione. Le organizzazioni per i diritti umani hanno documentato numerosi casi in cui Hamas ha giustiziato individui sospettati di essere gay o lesbiche. In Iran, il paese che ha offerto maggior supporto in questi anni a Hamas, gli omosessuali fanno la stessa fine: arrestati, torturati, impiccati. Uno degli alleati di Hamas nella lotta contro Israele, il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, da anni ripete che “l’America sta corrompendo l’umanità imponendo l’omosessualità nel mondo”. Per poter sopravvivere, i palestinesi lgbtq+ devono scappare indovinate dove? Proprio in Israele, l’unico stato del medio oriente in cui è possibile organizzare un Pride e l’unico stato del medio oriente che fornisce un’assistenza sanitaria completa, anche per le persone lgbtq+, e dove vi è una rappresentanza forte per la comunità omosessuale, anche a livello democratico. Si dicono antifascisti ma poi si ritrovano a braccetto a demonizzare Israele insieme con i nuovi e vecchi fascisti. Si dicono a favore dei diritti delle donne e poi si ritrovano a braccetto con gli ayatollah. Si dicono a favore dei diritti della comunità lgbtq+ e poi si ritrovano a contestare l’unico paese del medio oriente dove la comunità lgbtq+ può organizzare un Pride. Israele, ancor prima della sua guerra a Gaza, è diventato il simbolo di tutto ciò che la sinistra più estremista odia nel mondo. Ma siamo sicuri che quello che la sinistra ama di più al mondo non sia qualcosa difeso da Israele più di quanto lo difenda Hamas? Essere Lolita a Teheran è difficile. Essere un omosessuale in medio oriente è difficile anche perché, otto mesi dopo il 7 ottobre, c’è ancora qualcuno che non sa riconoscere chi è l’aggredito e chi è l’aggressore. Qualcuno che non sa ancora riconoscere chi combatte per difendere la libertà, in medio oriente, e chi combatte invece per evitare che la libertà dell’occidente possa diventare un modello da esportare oltre i confini di Israele. 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.