i numeri

Testacoda sulla Difesa: Meloni è più schleiniana di Scholz

Luciano Capone

Schlein chiedeva di rinviare l'aumento delle spese militari "come Scholz". I dati Nato dicono che la Germania è arrivata all'obiettivo del 2 per cento (+20 miliardi), mentre l'Italia è l'unico paese che ha ridotto le spese in rapporto al pil

Sulla difesa il Pd era per la linea Scholz e ora si scopre che quella era la linea Meloni. Naturalmente un testacoda del genere può accadere solo in Italia dove le contrapposizioni non si basano sui fatti ma si costruiscono sulle parole e vengono alimentate dal chiacchiericcio, spesso infondato. La scorsa estate, nel pieno dei contorcimenti sul sostegno all’Ucraina e delle lacerazioni a sinistra tra bellicismo e pacifismo, Elly Schlein disse di approvare la decisione del cancelliere socialdemocratico tedesco di rinviare l’obiettivo del 2% di pil di spese militari concordato in sede Nato. Il responsabile delle Iniziative politiche del Pd, Marco Furfaro, invitava a seguire il “rinvio di cinque anni” deciso dal suo Scholz immaginario.

Già, perché il cancelliere tedesco non ha mai pensato a nulla del genere. Tutti i tentativi di spiegare a Furfaro e al Pd che, in realtà, quella sua strana idea era infondata si infrangevano contro le loro certezze. Era inutile guardare alle dichiarazioni solenni del cancelliere sulla Zeitenwende (svolta epocale) che prevedeva appunto un investimento per ristrutturare la Bundeswehr (le Forze armate tedesche), alla Strategia di sicurezza nazionale che dichiarava chiaramente il 2% del pil come obiettivo di spesa militare o agli impegni confermati da Berlino nei vertici della Nato.  

L’unico dubbio era, in realtà, se la Germania fosse riuscita a superare l’obiettivo già nel 2024 o nel 2025. Ma niente, per il Pd seguire il modello Scholz significava non aumentare le spese militari, in contrapposizione alla linea militarista Meloni-Crosetto. Cos’è successo dopo un anno? Tutto il contrario.

La Nato ha appena pubblicato i dati sulle spese militari. Ebbene, come aveva già annunciato il segretario generale, Jens Stoltenberg, per la prima volta dopo decenni il pilastro europeo dell’Alleanza supererà la soglia del 2% del pil (dall’1,70% del 2022). E per giunta 23 dei 31 paesi membri della Nato (5 più del previsto) nel 2024 raggiungeranno il target del 2% (nel 2014, prima dell’invasione russa della Crimea, erano appena 3).

Tra i 23 paesi che superano il 2% del pil di spese militari c’è la Germania di Olaf Scholz, mentre tra gli 8 che restano sotto c’è l’Italia di Giorgia Meloni (ed Elly Schlein). Ma c’è di più. La Germania è uno dei paesi che hanno registrato l’incremento maggiore di spese militari: dall’1,64% del pil nel 2023 al 2,12% nel 2024 (oltre 20 miliardi di euro in più). Mentre l’Italia è l’unico paese, insieme alla Slovenia, che vede le spese per la Difesa scendere: dall’1,50% nel 2023 all’1,49% nel 2024. Per giunta l’Italia mostra anche un’anomalia nella composizione della spesa: è il paese che spende più di tutti, circa il 60%, per il personale. Insomma, spendiamo meno di tutti in totale e più di tutti per gli stipendi.

Nonostante da anni tutti i governi – da quelli del Pd a Conte in tutte le sue colorazioni, da Draghi a Meloni – abbiano preso l’impegno con la Nato di aumentare le spese per la Difesa per arrivare al 2% nel giro di qualche anno; nonostante tutti i ministri della Difesa – da Lorenzo Guerini a Guido Crosetto, solo per citare gli ultimi di due partiti contrapposti – sostengano che adeguare le nostre Forze armate sia urgente e un obiettivo strategico fondamentale per la sicurezza del paese; nonostante la premier, Giorgia Meloni, proprio all’ultimo G7, abbia speso parole importanti e solenni sulla necessità di aiutare l’Ucraina e difendere la sicurezza dell’Europa. Mentre le opposizioni, al contrario, accusano il governo di militarismo e bellicismo, di togliere soldi alla sanità per dirottarli su armi e bombe. Ma sono solo parole.

Nella realtà Meloni e Crosetto dovrebbero andare nei consessi internazionali a dire che l’Italia non è in grado di fare la sua parte e mantenere gli impegni internazionali, perché preferisce rinnovare qualche bonus in scadenza. Al contrario, Schlein dovrebbe elogiare il governo italiano e suggerire a Scholz di prendere esempio dalla sensibilità sociale e pacifista di Meloni e Crosetto. Ma siccome i fatti e i numeri rovinano le narrazioni ideologiche, la politica italiana preferisce dividersi sulle chiacchiere.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali