L'editoriale del direttore

Tutti i motivi per essere contro la "lepenizzazione" di Giorgia Meloni

Claudio Cerasa

La partita per la Commissione, l’imbarazzo per le mosse necessarie e la vulnerabilità dell’Italia. Perché quando si parla di Europa non scegliere da che parte stare significa già aver fatto una scelta (molto pericolosa)

Non può fare altro che stare lì in mezzo ma non può nemmeno permettersi di restare lì, immobile, in mezzo, senza scegliere da che parte stare. O di qua o di là, presidente Meloni: che si fa? Abbiamo raccontato spesso su questo giornale quanto la traiettoria di Meloni, in Europa, sia pressoché inevitabile e pressoché scontata. In una maniera o nell’altra, Giorgia Meloni troverà un modo per avvicinarsi a chi guiderà la prossima Commissione europea. E in una maniera o nell’altra troverà un modo per giustificare il fatto che il suo partito si ritroverà per un lungo istante dalla stessa parte della barricata degli odiatissimi socialisti e dei detestatissimi liberali. L’Europa, come sappiamo, è spesso il riflesso di ciò che i partiti dovrebbero essere a prescindere dalle volontà dei singoli leader. E la possibilità che in presenza di una grande coalizione europea, a sostegno di chi guiderà la Commissione, non vi sia uno dei paesi fondatori, come l’Italia, appare un’ipotesi semplicemente fuori dalla realtà. Tra il dire e il fare c’è però, oltre che il mare, anche il manovrare. E nell’agenda delle scelte cruciali da compiere nelle prossime settimane, da parte di Meloni, ce ne sono alcune che riguardano incastri che saranno importanti per la traiettoria politica della premier e anche dell’Italia.
 

La traiettoria più importante riguarda una tentazione pericolosa che la presidente del Consiglio dovrà riuscire a tenere lontana da sé: osservare i trend europei, osservare il caso francese, osservare i numeri di Marine Le Pen e provare in tutti i modi a individuare punti di contatto con il partito degli estremisti della destra francese. La lepenizzazione di Meloni è uno scenario difficile da immaginare oggi, viste le posizione nette, chiare e coraggiose assunte dal governo in politica estera (specie sul terreno della difesa dell’Ucraina). Ma alla luce di quello che potrebbe essere un nuovo quadro europeo – all’interno del quale il partito di Le Pen potrebbe contare di più non tanto per il peso che ha il Rassemblement national a Bruxelles ma per il peso che potrebbe avere a Parigi dopo il ballottaggio parlamentare del 7 luglio – è evidente che il presidente del Consiglio italiano dovrà scegliere se giocare di sponda con chi sogna di far fare all’Europa fondamentali passi in avanti o giocare di sponda con chi sogna di far fare all’Europa pericolosi passi indietro.
 

In ballo non c’è soltanto una partita di potere preziosa per l’Italia ma c’è anche una consapevolezza di ciò di cui l’Italia ha bisogno. Triangolare con il lepenismo, per Meloni, sarebbe non solo un errore ma un peccato mortale, perché spingerebbe l’Italia ad agire contro il suo stesso interesse nazionale, dando manforte a un partito che chiede, all’Europa, di fare tutto ciò di cui l’Italia non ha bisogno: un freno al mercato unico, un freno alla difesa europea, un freno alla solidarietà sui migranti, un freno alle ipotesi di condivisione del debito. Non è un caso che da quando la Francia è stata destabilizzata dal lepenismo uno dei paesi europei più colpiti dal punto di vista finanziario è stato l’Italia, con lo spread tra Btp e Bund salito di una ventina di punti base dal tre giugno a oggi con il rendimento dei Btp arrivato dopo molti mesi sopra la soglia del quattro per cento e con la Borsa che è arrivata a perdere tra il cinque e il sei per cento. Non è un caso. L’Italia è uno dei paesi più indebitati d’Europa, dunque uno dei più vulnerabili, e nel momento in cui si intravedono dei fattori capaci di mettere un freno all’integrazione europea è naturale che vi siano ripercussioni. Tutto quello che non serve all’Italia si trova nell’agenda lepenista e la speranza che l’Italia trovi un modo per salire sul carro del nuovo potere europeo è legata anche alla possibilità che da novembre gli Stati Uniti possano finire nelle mani del complottismo trumpiano.
 

Meloni ha dimostrato finora grandi abilità camaleontiche, riuscendo a stare spesso e volentieri con due piedi in due staffe. Ma se il suo obiettivo oggi è contare di più in Europa, avere un posto importante in Commissione, far pesare di più l’Italia nelle istituzioni europee nei prossimi cinque anni, Meloni ha il dovere di tenere lontano da sé la formula dell’asino di Buridano. Ricordate? “Un asino affamato e assetato è accovacciato esattamente tra due mucchi di fieno con, vicino a ognuno, un secchio d’acqua, ma non c’è niente che lo determini ad andare da una parte piuttosto che dall’altra. Perciò, resta fermo e muore”. Tradotto significa che Meloni deve scegliere da che parte stare in Europa, deve riuscire a trovare un modo per capitalizzare il “sì” che il governo italiano dovrebbe dare in Consiglio europeo alla presidenza von der Leyen il prossimo 27 giugno annunciando esplicitamente il successivo sostegno dei 24 deputati eletti da Meloni in Europa alla maggioranza Ursula come elemento chiave di una possibile discontinuità nella Commissione europea. “Tutti – ha detto ieri in Romania il presidente della Repubblica Sergio Mattarella – facciamo esperienza, nella nostra vita quotidiana, ogni giorno, che i problemi nascono velocemente e richiedono risposte immediate, tempestive. In un mondo contrassegnato sempre più da grandi soggetti internazionali se l’Ue non è in grado di fornire risposte tempestive, immediate, veloci i problemi saranno risolti secondo le scelte di altri grandi soggetti internazionali. Per questo è indispensabile per l’Ue darsi modalità decisionali che consentano di rispondere velocemente ai problemi perché questi non aspettano i tempi di procedure lente e ritardate”. O di qua o di là. Quando si parla di Europa non scegliere da che parte stare significa già aver fatto una scelta.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.