L'intervista
"Conte non sia ondivago, il M5s non ha più temi forti", dice l'ex grillino Max Bugani
L'assessore al Bologna con il Pd, già tra i fondatori del Movimento, attacca: "Dire ancora che i grillini non sono di destra né di sinistra ormai è sbagliato: ci troviamo in un'altra fase politica, l'ex premier non è chiaro"
“Lo dicevo anche cinque o sei anni fa. Conte può anche decidere di tornare solo contro tutti, ma non può più avanzare sperando di tenere insieme tutti, alleandosi e parlando di centrosinistra i giorni pari, isolandosi e attaccando Schlein nei giorni dispari”. Max Bugani ora fa l’assessore a Bologna nella giunta Lepore, con tanto di iscrizione al Pd. Conosce il M5s come pochi: è stato collaboratore di Gianroberto Casaleggio, poi del figlio Davide in Rousseau, ha lavorato con Beppe Grillo, Luigi Di Maio e Virginia Raggi. Diciassette anni dalle stelle alle stalle. Bugani, cosa ha in mente Grillo? Perché è tornato così irruento?
Dice Bugani al Foglio con un sorriso birichino: “Credo che Beppe avesse semplicemente a portata di mano una battuta troppo bella e facile per lasciarsela sfuggire”. Si riferisce a quella pronunciata nei giorni scorsi “Conte mi fa tenerezza: ha preso più voti Berlusconi da morto, che lui da vivo”? “Esatto. Se a Beppe viene in mente qualcosa che fa ridere non c’è nulla che possa convincerlo a non dirla”. D’accordo, ma al di là delle battute, qual è il futuro del Movimento? “Quello che aveva anche tre anni fa quando ho provato in tutti i modi a convincerli che era giunto il momento di prendere una direzione chiara con un perimetro politico definito e definitivo”. Però intanto il suo ex partito sembra avere esaurito le parole d’ordine, la famosa spinta. Non trova? “Il M5S è stato un meraviglioso comitato nazionale che su parole guida come ‘reddito di cittadinanza’ e ‘spazzacorrotti’ aveva unito persone molto diverse fra di loro e con diversi riferimenti culturali e politici”. Bene, ora in Italia c’è un’altra fase. Lo dicono i risultati delle elezioni. “Certo, ogni comitato quando raggiunge i propri obiettivi si scioglie, oppure sceglie una direzione, si riduce nei numeri ma inizia un nuovo percorso”. Tuttavia il dibattito sembra ancorato al posizionamento, al “non siamo di destra né di sinistra”. Ha senso questa discussione con un centrodestra comunque compatto che governa il paese, le regioni e le città? “Non siamo di destra né di sinistra era uno slogan facile e perfetto quando la sinistra era Renzi e la destra era Berlusconi. Ovvero quando le parti si erano avvicinate a tal punto da essere diventate, secondo me, la stessa cosa, o quasi. A quel punto era difficile per i cittadini vedere la destra e la sinistra: era più facile vedere il sistema e l’antisistema”.
La seguiamo nel ragionamento e aggiungiamo: ora c’è Giorgia Meloni, leader di un partito post fascista. “E adesso arrivo al suo ragionamento: quando invece la destra torna nettamente a destra, sdoganando parole, azioni e atteggiamenti che pensavamo di aver dimenticato per sempre, ecco che la politica si polarizza all’istante e io credo sia un dovere arginare questa estrema destra e unirsi per arginarla”. Lo dice da assessore della giunta Lepore entrato nel Pd. “Io sono cresciuto nel Pci bolognese, mia madre lavorava con Renzo Imbeni, intendo dire che qui il pericolo lo annusiamo prima e suoniamo l’allarme prima di altri”. Insistiamo: Conte dovrebbe farsi da parte o dopo Conte il M5s può abbassare anche la saracinesca? “Bisogna articolare l’opposizione per offrire una seria alternativa a questa destra retrograda che ogni giorno ci fa andare indietro di 100 anni su tutti i temi più importanti”. Esagerato. “Io non voglio entrare nelle dinamiche di un partito nel quale non sono più, ma credo semplicemente che ci siano tanti punti in comune fra il Pd di Elly Schlein, Avs e buona parte del M5S. Sono sicuro che possa essere scritto un programma di grande qualità, davvero in grado di non lasciare indietro nessuno. Il momento della responsabilità storica è adesso”.
Lei è assessore a Bologna, osservatorio interessante: teatro del primo Vaffa-day nel 2007, ma anche simbolo di un sistema di potere quasi inscalfibile. Perché Conte non è riuscito a fare breccia nell’elettorato di sinistra? “In realtà aveva fatto breccia eccome, durante il governo Conte 2 lo volevano tutti come federatore. Poi ha preferito ricollocarsi come forza solitaria e autosufficiente che, ripeto, aveva senso quando il Pd lo guidava Renzi. Adesso c’è Elly Schlein, sostenuta da persone come Lepore e Bersani, il popolo di sinistra si scalda il cuore, si sente di nuovo rappresentato e torna a casa”. Con Alessandro Di Battista può nascere qualcosa a sinistra, o a destra dipende dai punti di vista, del M5s? “Non lo so, conosco Ale da 12 anni: la sua associazione cresce sottotraccia, ma non so se avrà voglia di complicarsi la vita con un partito e con una nuova responsabilità”. Quando termina la conversazione con Bugani, Grillo pubblica un’autointervista sul suo blog. Dice che con Conte va tutto bene perché dice solo tre cose (“guerra, povertà e malattie sono cose brutte”); che il vincolo del secondo mandato non si tocca, che – questa è una notizia – destra e sinistra sono categorie superate tipo guelfi e ghibellini (linea Raggi) motivo per il quale occorre smarcarsi dalle vecchie collocazioni; che bisogna riprendere la democrazia diretta; che il Superbonus andava messo a punto, ma lo hanno voluto tutti i partiti. Il sedicente Elavato annuncia che sarà più presente a Roma. Nell’autointervista Beppe non chiede a Grillo se per caso dietro a questa fragile tregua con Conte, densa comunque di messaggi belligeranti, c’entrino anche i 300 mila euro che percepisce dal M5s. Sarebbe stato uno scoop.