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Palazzo Chigi

"La coalizione regge". La logica a pacchetto di Meloni sul risiko delle nomine

Simone Canettieri

Se sulla Commissione il centrodestra è diviso, su Fs, Cdp, Rai e Fincantieri c’è un accordo quadro. L'appuntamento è rimandato di 7 giorni

C’era una volta la famosa “logica a pacchetto”. Formula vaga ma suggestiva, anche se non rispettata, che Giorgia Meloni agitava in Europa quando c’erano da superare gli scogli del Mes (alla fine bocciato) e del Patto di stabilità (alla fine approvato).  Tipo il “cucchiaio di Totti”; je famo la logica a pacchetto, era il tormentone in tutte le dichiarazioni. In attesa di poter applicare sul serio questo abracadabra in Europa nella complicata partita delle nomine Ue, la premier prova a replicare lo schema ideale, con buone possibilità di riuscirci, nelle nomine delle aziende di stato: Cdp, Ferrovie, Rai e Fincantieri. Motivo per il quale ieri l’assemblea degli azionisti di Cassa depositi e prestiti ha rinviato di una settimana la nomina del nuovo consiglio d’amministrazione della “cassaforte” di Via Goito.

L’appuntamento, con una scelta che sembra ormai già scritta, è rimandato dunque solo di sette giorni: si va verso la doppia conferma di Dario Scannapieco come amministratore delegato e di Giovanni Gorno Tempini come presidente (già indicato dalle fondazioni bancarie). Lo slittamento tecnico a giovedì 27 serve a far combaciare con Cdp la partita di Ferrovie. Sui binari di Fs, cari a Matteo Salvini per competenza, è pronto ad approdare l’ex ad di Terna Stefano Donnarumma. Una figura politicamente ibrida: fu l’unico manager di stato a partecipare alla conferenza programmatica di Fratelli d’Italia a Milano nel 2022, con Draghi imperante, ma piace anche alla Lega e in particolare al ministro dei Trasporti. Donnarumma è destinato a succedere a Luigi Ferraris, pronto a planare, su mandato di Kkr, sulla società che si occuperà della rete ex Tim, ora Netco. Discorso diverso per la presidenza di Ferrovie: gira forte il nome del consigliere d’amministrazione di Fs Tommaso Tanzilli, di FdI, anche se questa casella di rappresentanza potrebbe essere giocata da Palazzo Chigi per compensare altre nomine, magari in uscita dalla Rai (aleggia Roberto Sergio). E’ la logica a pacchetto, appunto. Chiudere partite diverse  nell’ottica di un accordo quadro più ampio e politico, in un dare e avere complessivo. 

D’altronde l’immagine consegnata ai flash l’altro giorno a Milano, in occasione della festa dei 50 anni del Giornale, è sembrata essere quella di una coalizione che almeno nella prossemica dimostrava una certa intesa. Meloni che scherza con Tajani, Salvini che poggia una mano sulla spalla di Meloni. I sorrisi, le foto rilassate, le battute a favore di telecamera. Divisi in Europa per la scelta dei top jobs, con diverse e sostanziali sfumature a seconda dei leader, ma uniti in Italia quando c’è da mettersi seduti a un tavolo. “Le europee hanno giovato a tutti: siamo più coesi”. 
Soprattutto nel risiko delle nomine. Dove la regola aurea di Meloni resta: l’ad a noi, le presidenze a voi, cari alleati. Si entra così nella foresta Rai dove tutto sembra – ma forse è apparenza – pietrificato. La presentazione dei nuovi palinsesti è attesa per il 19 luglio. E ad approvarli informalmente, salvo ritocchi in extremis, sarà la vecchia governance, quella del duo Rossi-Sergio, con il vecchio cda. Anche qui esce fuori di nuovo la storia della logica a pacchetto. Perché un’intesa di massima sul futuro di Viale Mazzini c’è già: Forza Italia con Simona Agnes ha prenotato la presidenza della Rai (anche se il Carroccio storce la bocca per giocare al rialzo), Giampaolo Rossi da direttore generale diventerà ad. Il resto del cda, dove avrà spazio anche la Lega con Casarin o Marano, è da costruire con l’incognita Pd: il partito di Elly Schlein ha annunciato l’Aventino, ma potrebbe appoggiare in Aula il candidato di Avs Roberto Natale.

Resta il dubbio, questo sì, sul futuro di Sergio: il quale, in cuor suo, credeva e crede a una staffetta con Rossi, ma alla fine c’è sempre Fs. Ipotesi che fluttua assai. Per Meloni l’ideale sarebbe infiocchettare il pacchetto Rai una decina di giorni prima del 19 luglio e arrivare magari a ridosso di giugno con la convocazione delle Camere per l’elezione dei membri del cda scelti dal Parlamento. L’intesa di massima nel centrodestra c’è per tutti i tasselli del puzzle. Al quale si è aggiunto all’improvviso anche quello della presidenza di Fincantieri, dopo la morte di Claudio Graziano (oggi a Roma i funerali). Per delicatezza davanti alla tragedia del generale non è detto che si arrivi subito a una scelta. Si fa il nome di Teo Luzi, numero uno dei Carabinieri in uscita comunque a ottobre. Una mossa che accelererebbe subito la mossa sul sostituto: in pole c’è Salvatore Luongo, nominato una settimana fa su proposta del ministro Guido Crosetto, vicecomandate dell’Arma. Per Meloni questi sono giochi quasi di società al cospetto delle nomine europee, destinate ad avere un’accelerazione a fine mese. Salvo sorprese.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.