Il retroscena
Meloni e la scelta di legittimare Schlein: l'esperimento le è sfuggito dalle mani
Dubbi a Palazzo Chigi sulla scelta di polarizzare lo scontro con la segretaria del Pd pensando che fosse innocua. La storia si ripete al contrario dopo gli assist di Letta alla leader di FdI. Che teme i ballottaggi nelle grandi città
La legittimazione paga il legittimato. Ne sa qualcosa Giorgia Meloni che per mesi ha cercato, parlato, provato a costruire ponti e tunnel con Elly Schlein, solo con lei e sempre con lei, riconoscendola come un’unica interlocutrice delle opposizioni. La legge sui femminicidi, la risoluzione su Gaza, il confronto tv (poi saltato), il plauso al redivivo bipolarismo. I messaggini. Un tango, senza terzi fra le scatole, che alla lunga sta giovando più alla leader del Pd che alla premier e capa di Fratelli d’Italia. Convinta forse all’inizio di poter scegliersi l’avversaria ideale per continuare a governare senza affanni. E però i due punti percentuali presi a sorpresa dai dem e la martellante campagna di Schlein stanno facendo sorgere qualche dubbio a chi consiglia la premier: “Avremo fatto bene?”.
E’ una nemesi. Così come Enrico Letta, segretario del Pd, decise di impostare (pagandola) un’intera campagna elettorale contro l’amica -nemica Giorgia, a suon di dibattiti e presentazioni di libri, sdoganandola sempre in punta di fioretto, adesso la storia si ripete, ma a parti inverse. E non è detto che continui, anzi. Perché l’esperimento rischia di sfuggire dalle mani degli scienziati che lo hanno messo in piedi.
Schlein al contrario di Meloni sa di poter giocare su due registri: in Parlamento e soprattutto nelle piazze, fra referendum a iosa e adunate contro il fascismo incombente. Non a caso durante la campagna delle europee ha girato cento città e adesso in vista dei ballottaggi è andata su e giù per l’Italia comiziando. Al contrario di Meloni che solo ieri è comparsa sui social per raccomandarsi di andare “a votare domenica e lunedì”. Complice il G7 e la trattativa europea, la leader della destra italiana è rimasta distante dalle città in cui si vota.
Schlein, versione barbiera di Siviglia, sembra essersi più che mai ringalluzzita: eccola sul carro del Pride, poi ad Avellino per “Gengaro sindaco” e a Bari con “Leccese sindaco”. Dalle parti del Pd sono sicuri che lunedì pomeriggio ci saranno buone notizie per le 14 città medio grandi chiamate al secondo turno elettorale. Avellino, Bari, Firenze su tutte. E poi, chissà, Perugia, Campobasso, Potenza e Urbino. E poi ci sono Vibo Valentia e Cremona. Percezioni che, al contrario, trovano ansia e dubbi dalle parti del governo. Dove Meloni, come ama dire, “ancora non ha il dono dell’ubiquità”. E quindi se si spende al massimo in contesti e partite internazionali difficilmente potrà fare altrettanto nei centri al voto, al contrario di quanto accaduto, seppur sempre in maniera morigerata, in passato con le regionali. E allora vuoi vedere che aver “aiutato” Elly a crescere in questi mesi, dandole la corona di antagonista, sia stato un errore di calcolo da parte di Meloni? Una sottovalutazione che adesso inizia a mostrarsi agli occhi di tutti? Anche perché l’atteggiamento della premier – di riconoscerla e legittimarla – è stato seguito, in maniera pedissequa e zelante, anche dagli altri colonnelli di Fratelli d’Italia. Dalle parti di Via della Scrofa, d’altronde, funziona così: appena Meloni dà un input, ne arrivano cento uguali e superiori nella solita corsa a chi è più realista della regina. Solo che Schlein sembra iniziare a prenderci gusto con la storia del “non ci hanno visto arrivare”, ride sempre più spesso, come fanno gli underdog quando capiscono che erano stati pesati su bilance fallaci. Meloni ne sa qualcosa. E forse se ne sta pentendo.
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