Next generation Fitto
Il Pnrr ha ancora molti guai (la spesa) ma l'obiettivo ora è la Ue
C’è il primato europeo? Calma, benchè l'enfasi sia giustificata dalla delega che l'Italia chiede nella prossima commissione Ue. E si parla di un Raffaele Fitto commissario
Il governo vince una Champions League che nessuno in Europa ha deciso di giocare. Giorgia Meloni parla ancora una volta di “primato europeo” per aver chiesto per primi la quinta rata e ora la sesta. Ma in Europa l’importanza data alle rate del Pnrr è molto limitata perché solo per l’Italia l’attuazione del Pnrr è decisiva per il futuro. Nemmeno più la commissione chiede rigore nelle scadenze (mai state vincolanti) delle rate, nessun Paese rispetta i termini, ma l’Italia lo fa. Per varie ragioni giustissime: per non mollare nella partita tosta dell’attuazione, per mandare un segnale chiaro all’Europa che le risorse date all’Italia sono ben spese, per portarsi avanti rispetto a momenti in cui gli esami con la commissione saranno molto più duri, per non sforare con i tempi dell’incasso di risorse che servono quest’anno. L’enfasi politica di ieri sul “primato europeo” è giustificata, però, soprattutto dalla delega che l’Italia chiede nella prossima commissione Ue. Si dice per Raffaele Fitto commissario e le allusioni di ieri sembrano confermarlo.
Prima fra tutti la chiusura del discorso di Meloni alla cabina di regia. “La messa a terra del Pnrr rimane una priorità assoluta dell’intero governo”. E non di un solo ministro, come finora si era pensato, tanto più se ha le valigie pronte. Lo stesso Fitto, insistendo sul fatto che l’Italia ha raccordato Pnrr e fondi di coesione, propone per l’Europa un modello che coinciderebbe con quello che lui ha imposto in Italia e con un paio di deleghe che molti gli attribuiscono (insieme ad altre). Per il resto, la cabina di regia di ieri a Palazzo Chigi sul Pnrr ha detto poco di più di quanto già non si sapesse. Anche dell’accelerazione della spesa – che resta il tallone d’Achille italiano fino a prova contraria – si è parlato ma con tanta vaghezza, se a testimonianza si è citato l’aumento delle registrazioni presso Regis. Numeri? Per ora nessuno. Bisognerà aspettare la relazione al Parlamento che arriverà a fine luglio. Potrebbe essere il passaggio di testimone, a cose fatte, quando la prova dell’accelerazione non servirà più e al nuovo ministro converrà pure dire che siamo indietro. Che l’Italia contasse di portare a Bruxelles entro il 30 giugno il dossier con i 37 obiettivi da 8,5 miliardi della sesta rata era chiaro già da un pezzo. Qualche problema c’è stato per dimostrare che fossero cominciati i lavori per le Zes dopo i mesi di inerzia amministrativa creata dal passaggio delle competenze dai commissari, liquidati brutalmente, alla struttura centralizzata di Fitto. Non è difficile scattare foto dei cantieri aperti, ma alcuni hanno percentuali di lavoro molto basse.
Difficoltà anche per qualche investimento cui la revisione del Pnrr ha cambiato le carte in tavola, magari in meglio. Quelli idrici, per esempio, hanno raddoppiato i fondi da un miliardo a due, ma l’obiettivo di aver affidato tutti gli appalti sarebbe stato impossibile da raggiungere, quindi si è fatto un passo indietro per tutti nei target, centrando la sola distribuzione delle risorse. La vera partita degli ultimi mesi ha riguardato invece la quinta rata. Fanno bene Fitto e Meloni a cantare vittoria perché il giudizio positivo della commissione è effettivamente vicino, dopo la visita degli ispettori Ue. Ma questi sei mesi – e anche gli ultimi giorni – di confronto hanno confermato in pieno i due punti deboli italiani sul fronte delle riforme, gli appalti e la concorrenza. Gli ispettori Ue se ne sono andati niente affatto convinti che la qualificazione delle stazioni appaltanti stia funzionando al meglio e aspettano di vedere come continua. In altri termini, va bene se 8.630 piccole amministrazioni (in gran parte comunali) si convenzionano con le centrali di committenza più grandi che fanno le gare al loro posto. Ma la selezione non necessariamente è aggregazione. E se la gestione del lavoro o della commessa – una volta fatta la gara - ricade nuovamente sul piccolo comune, siamo messi peggio di prima. Per questo ora la priorità, da un paio di mesi, si chiama “qualificazione della fase esecutiva”. Una fase 2 per dimostrare il successo della fase 1. Ancora peggio siamo messi sulla concorrenza e non solo nei settori dove da tempo ci aspettano al varco con le riforme, come le spiagge, i porti, le autostrade. Anche dove pensavamo di essere ormai i primi della classe, come nel caso delle ferrovie. Forti dell’unico caso vincente di concorrenza in Europa, quello fra Frecce e Italo, abbiamo pensato che almeno su questo non avremmo incontrato problemi. E invece la commissione ci ha chiesto – scrivendolo tra le righe nelle raccomandazioni Paese – di aprire la concorrenza anche negli intercity e nel trasporto regionale. Un’esperienza che in Italia è stata sperimentata in passato e non ha mai funzionato. Ci sarà tempo per ragionare su un modello che funzioni. Intanto la commissione ha preteso un segnale ricordando l’assegno da 25 miliardi staccato con il Pnrr alle ferrovie italiane.