Getty

diplomazia lunare

La Chang'e 6 torna sulla Terra. Ma la Cina vorrà condividere i suoi campioni?

Stefano Piccin

Si è conclusa la missione cinese, la prima sonda spaziale nella storia che è riuscita a recuperare dei fammenti di rocce e polvere dal lato nascosto della Luna. Lo studio dei campioni, oltre all’indiscutibile importanza scientifica, per il Dragone è anche uno strumento di soft power strategico

Dopo 53 giorni dalla partenza, oggi si è conclusa la missione Chang’e 6 cinese, la prima sonda spaziale nella storia che è riuscita a recuperare dei campioni di rocce e polvere lunare dal lato nascosto, cioè dal lato della Luna che noi non vediamo mai dalla Terra. Mai nessuna missione spaziale era riuscita in questa impresa, e in precedenza solo un’altra sonda era riuscita ad atterrare sul lato nascosto, ed era sempre cinese: la Chang’e 4 nel 2018. Anche per questi motivi il lato nascosto della Luna è informalmente considerato un feudo della Cina, o per lo meno questa è una narrazione che Pechino vuole favorire, consapevole dei risultati importanti raggiunti, e consapevole che sarà così solo per pochi anni (la prima sonda spaziale americana per il lato nascosto della Luna è prevista per fine 2025). 

La missione non è però finita così, anzi, è ora che inizia la fase più delicata e importante: lo studio dei campioni di rocce riportati sulla Terra. Ed è qui che si gioca un’altra partita importante. Lo studio dei campioni, oltre all’indiscutibile importanza scientifica, per la Cina è anche uno strumento di soft power strategico, come lo è stata sin dall’inizio tutta la missione. A bordo della sonda Chang’e 6 c’erano quattro strumenti scientifici non cinesi. Uno della Svezia, gestito in collaborazione con l’Esa. Uno della Francia, uno dell’Italia, ed era presente anche un piccolo satellite costruito dal Pakistan e rilasciato dalla sonda nello spazio a fine maggio, prima di scendere sulla superficie lunare. Questi contributi internazionali, di gran lunga meno importanti dello scopo primario della missione, sono stati oggetto di molte interviste, articoli e servizi sulle tv di stato in Cina – più che nei rispettivi paesi – con l’obiettivo di mostrare al mondo l’apertura di Pechino alle collaborazioni spaziali internazionali. 

In Italia il progetto cinese non è quasi mai stato citato dagli enti responsabili dello strumento (l’Inaf) e lo stesso è accaduto in Francia. Queste collaborazioni saranno probabilmente le ultime, data la partecipazione dell’Europa al Programma Artemis americano e la collaborazione della Cina con la Russia per l’esplorazione lunare, che pone difficoltà indirette per ogni partecipazione occidentale. 

Contemporaneamente, lo studio dei campioni lunari di Chang’e 6 potrebbe rappresentare a sua volta un caso studio. Attualmente non ci sono informazioni certe riguardo la possibilità di accesso a questi campioni da parte di ricercatori europei o americani. Nel novembre del 2023 fece storia una prima apertura della Nasa, che permise a ricercatori americani di richiedere formalmente all’Agenzia spaziale cinese l’accesso ai campioni lunari raccolti dalla precedente missione Chang’e 5. Un permesso che potrebbe ripetersi, oppure no. Entro pochi anni, grazie alle missioni Artemis, anche gli Stati Uniti e l’Europa potrebbero avere accesso a campioni di questo tipo. 

Dal lato cinese si discute dell’apertura agli scienziati internazionali dei risultati della ricerca sui campioni, anche se con le dovute differenze. Cruciale sarà non tanto la pubblicazione di studi scientifici, anche quelli che verranno fatti con le rocce lunari, ma dove verranno pubblicati e in quale lingua. Secondo il South China Morning Post, alcune istituzioni scientifiche cinesi, per aumentare il prestigio del paese, spingono per una prima pubblicazione su riviste scientifiche cinesi, in cinese. Altri vogliono il riconoscimento internazionale pubblicando direttamente in inglese e su riviste scientifiche già conosciute a livello internazionali. Anche l’uso categorico del mandarino nelle istituzioni cinesi ha un obiettivo politico. 

La missione Chang’e 6, ha sicuramente segnato un punto importante dell’esplorazione lunare cinese, e non solo. Quello che si potrà imparare studiando i campioni di rocce, i primi del lato nascosto della Luna mai tornati sulla Terra, permetterà di scoprire una storia diversa del passato lunare. La Cina lo sa, e cerca anche nello spazio di ottenere un riconoscimento e un ruolo almeno alla pari di quello americano. Ci prova portando bandiere sulla Luna, rigorosamente non sulla superficie, per non “scendere al livello” del colonialismo americano, di cui i cinesi accusano anche la Nasa. Ci prova accettando il più possibile collaborazioni internazionali, e forse, anche concedendo qualche grammo di quei preziosi campioni appena raccolti dal nostro satellite naturale. 

Di più su questi argomenti: