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l'analisi

La nemesi di Conte. “Fa il radicale ma non è credibile come leader antisistema”. Parlano Gigliuto e Panarari

Luca Roberto

Dopo il governo Draghi l'ex premier si è allontanato dalla sua postura istituzionale e moderata e ha giocato a fare il barricadero, per tenersi buono la base grillina. Ma non è riuscito ad attrarre i voti degli elettori più radicali, che alle europee gli hanno preferito Avs e Pd

Ha smesso la pochette, anzi il fazzoletto a quattro punte, per cercare di rivendicare la proprietà sulle piazze, sugli strepiti, sul malcontento popolare (e populista). Ma così Giuseppe Conte s’è allontanato dal profilo istituzionale che ne aveva fatto la fortuna a Palazzo Chigi. E ha compromesso, forse per sempre, un potenziale ruolo da federatore di una costola moderata all’interno del campo progressista. “Le elezioni europee ci insegnano principalmente due cose: in primis Conte non è riuscito a dare un posizionamento riconoscibile al Movimento cinque stelle. E in secondo luogo, dalla caduta di Draghi in poi, non è riuscito a creare una narrazione alternativa rispetto al partito antisistema delle origini”, spiega al Foglio Livio Gigliuto, sondaggista, presidente dell’Istituto Piepoli. “Solo che gli elettori in quel ruolo non l’hanno ritenuto credibile. Preferendogli per esempio l’Alleanza Verdi-sinistra, che è riuscita a offrire un’offerta al mondo pacifista. E che è stata votatissima, oltre il 10 per cento, dai più giovani, che in passato avevano sostenuto il Movimento cinque stelle”.

 

Una lettura molto simile a quella di Massimiliano Pananari, massmediologo e docente di sociologia della comunicazione all’Università di Modena e Reggio Emilia. “Nel caso di Conte ci troviamo di fronte a una specie di nemesi. Ha continuato a oscillare rispetto all’esigenza di mantenere un richiamo al populismo, ma è qualcosa che lui non può interpretare, perché non ne ha le caratteristiche antropologiche, il phisique du role. Da questo punto di vista è chiaro che sia Grillo che Di Battista interpretano in maniera più convincente un ritorno alle origini”, spiega al Foglio Panarari. Il quale da tempo è un osservatore di tutto quel che si muove attorno al grillismo. E di Conte ha sempre ravvisato l’incompatibilità rispetto a un richiamo della foresta, un ritorno al Movimento cinque stelle del vaffa-day. “I partiti antisistema cercano sempre di prolungare la loro natura antisistema, anche dopo le esperienze di governo. Ma dopo quelle esperienze diventa difficile raccontarsi ancora così. Con Conte è ancora più difficile perché non è quel tipo di leader. E’ un tecnico, un esterno, un notabile meridionale, una figura che fa dell’istituzionalità la sua forza ma all’interno di un movimento che non si è mai istituzionalizzato, non è mai diventato un partito vero. Per questo fuori dal contesto governativo, senza poter azionare policy che hanno creato consenso, ha perso la sue forza e la sua efficacia, che è principalmente comunicativa”.

 

Da un punto di vista banalmente elettorale le europee possono rappresentare un redde rationem per l’ex premier, che almeno ieri ha potuto festeggiare la vittoria del candidato M5s nella sua San Giovanni Rotondo, in provincia di Foggia. Mentre invece ha perso Avellino, dove il sindaco uscente era pentastellato. Quanto è credibile, dopo la batosta elettorale, un Conte che si sposta più al centro? “Un suo indice di gradimento ce l’ha sempre, ma certo continuare a parlare dell’opposizione a Draghi non sta pagando. Il suo obiettivo dovrebbe essere quello di riuscire a esprimere un posizionamento rispetto alle cose che accadono oggi. Sapendo però che la competizione interna al campo progressista l’ha persa”, prosegue ancora Gigliuto. Vedere anche il caso-scuola di Bari. L’opinione di Panarari è ancor più tranchant. “Conte non ha alcuna idea su come uscire da questo cul-de-sac. Non credo voglia fare il junior partner del Partito democratico. Eppure un ritorno alla postura antisistemica è possibile solo con la caduta della sua leadership”, analizza il massmediologo. “L’evoluzionepiù probabile è una lenta consunzione. Cercherà di continuare la sua ambiguità e ambivalenza, di mantenere un’alleanza sotto tono, cercando di distinguersi il più possibile. Questo passo del gambero nel medio termine continuerà a ridurre i consensi del M5s, che è anche la scommessa del Partito democratico. Così, insomma, in una logica che è sempre più bipolarista, Conte si condanna a fare il donatore di sangue nei confronti di Elly Schlein”.

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  • Pugliese, ha iniziato facendo vari stage in radio (prima a Controradio Firenze, poi a Radio Rai). Dopo aver studiato alla scuola di giornalismo della Luiss è arrivato al Foglio nel 2019. Si occupa di politica. Scrive anche di tennis, quando capita.