Verso le nomine europee

Il bivio di Meloni: pronta all'astensione in Consiglio Ue, ma tratterà fino alla fine

Simone Canettieri

La premier davanti alla scelta dei nomi per i top jobs a Bruxelles, viene attaccata in Parlamento. È divisa fra la coerenza e la realpolitik. E intanto le scoppia la grana polacca dentro al gruppo di Ecr

Tratta. Poi sembra strappare. Parla al telefono in diverse lingue. Messaggio  da Bruxelles (“Gio’, abbiamo un problema in Ecr con i polacchi”). Eccola alla Camera. Poi al Senato. Non urla nelle repliche, toni bassi. In mezzo un pranzo al Quirinale dove incassa una dichiarazione  di Mattarella: “Non si può prescindere dall’Italia”. Intanto risponde alle opposizioni, legge  la lettera di Ursula.  Meloni gioca su tanti tavoli. Domani c’è il Consiglio Ue, ancora non si sa dove poserà la sua fiche.  

Oggi chi le è stato molto vicino, quasi in simbiosi, diceva: “Ancora nulla è deciso”. E cioè se la premier italiana al Consiglio europeo si asterrà sulla nomina dei tre top jobs (von der Leyen, Costa, Kallas). Sarebbe una scelta clamorosa per l’Italia, senza precedenti, ma coerente in termini di propaganda melonista. Soprattutto alla luce delle parole di fuoco pronunciate in Parlamento dalla premier (piccola antologia: “No alla logica dei caminetti, è un errore imporre nomi, la democrazia è altro, i liberali non sono il terzo gruppo ma lo siamo noi di Ecr”). L’intenzione, ma la situazione muta a seconda dell’ultima telefonata decisiva, è quella di entrare in Consiglio europeo con l’astensione in tasca, salvo convincimenti in extremis. Lontano da occhi e orecchie indiscreti, rifugiata nei corridoi di Montecitorio e Palazzo Madama, Meloni per tutta la giornata ha portato comunque avanti una trattativa con von der Leyen.

 

Un piano B, che forse da sempre è stato l’unico sul tavolo: aderire, seppur con mille distinguo, alla scelta della terna per poi incassare una vicepresidenza esecutiva di peso con delega economica pesante e un vicecommissario per Forza Italia (moneta di scambio sono i voti di FdI all’Eurocamera). E qui c’è questa frase, pronunciata sempre durante le comunicazioni alle Camere, che ha acceso la malizia di molti. Sempre Meloni: “L’Italia dovrebbe avere un ruolo importante come adesso? Spero di riuscire a fare meglio”, dice rispondendo alla deputata del Pd Marianna Madia. La dem nel suo intervento aveva citato il ruolo di Paolo Gentiloni, commissario uscente all’Economia. Il quale nei giorni scorsi, incontrando parlamentari di Fratelli d’Italia molto vicini alla capa, ha fatto loro un ragionamento del genere: “Votare Ursula per l’Italia è importante, perché avere un numero di una persona che ti risponde al telefono e si attiva non è una banalità”.

Ecco Ursula von der Leyen, la presidente che vuole succedere a se stessa, “la santuzza” (come l’ha chiamata Davide Faraone di Iv) portata in processione da Meloni nell’ultimo anno su e giù per l’Italia. Per la serie messaggi in bottiglia, ma nemmeno tanto, da Bruxelles la tedesca ha inviato una lettera ai 27 paesi con passaggi che sembravano blandire Roma. Uno su tutti: “L’accordo sul Patto sull’asilo e la migrazione non rappresenta la fine della riflessione sugli strumenti a nostra disposizione. Molti Paesi membri stanno esaminando strategie innovative per prevenire la migrazione irregolare, affrontando le domande di asilo più lontane dalle frontiere esterne dell’Ue”. Per il ciclo: Albania portami via, l’esperimento meloniano è da replicare. La premier per tutta la giornata, come accade in queste occasioni, mette sul tavolo scenari differenti. Per un attimo è un lampo di rabbia che coincide con un giro di telefonate numeri alla mano, cerca di capire se ci sono i margini per far saltare il banco. Per trovare anche all’interno del Pse e del Ppe paesi lasciati ai margini dal metodo Francia-Germania, spingendoli a votare contro il terzetto. Ne servono almeno otto, in un gioco legato alla popolazione. Troppo complicato, forse anche troppo pericoloso: sarebbe un burrone con vista crisi istituzionale a Bruxelles. E così Meloni continua a sparare contro la “conventio ad excludendum” e a trattare per cercare una compensazione  per l’Italia con cariche e ruoli pesanti (il maggiore indiziato resta Raffaele Fitto).

Ma mentre tutto è avvolto dalla nebbia ecco la notizia che indebolisce il potere negoziale della leader di Ecr: i polacchi del Pis (20 eurodeputati) hanno fatto saltare la costituzione del nuovo gruppo: tutto rinviato al 6 luglio. Per via delle cariche interne (c’è un’altra copresidenza da assegnare) e per la collocazione della famiglia politica. Una parte del Pis rifiuta il dialogo con il Ppe. Un’altra grana, che scoppia in un territorio minato per Meloni, divisa fra coerenza e realpolitik
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.