Giorgia Meloni - foto Ansa

Ma quale guerra civile?

La sgangherata banda Meloni fa un passo ulteriore verso l'antifascismo europeo

Claudio Cerasa

La premier è pronta a sostenere il secondo mandato di Ursula von der Leyen. Così un partito filo putiniano nato con l’idea di far uscire l’Italia dall’euro cambia rotta al punto da diventare un impensabile argine contro i putinisti e contro gli anti europeisti

Il palco è l’Italia, la realtà è l’Europa. Quarantott’ore dopo la scoppola ricevuta dal centrodestra nei ballottaggi delle grandi città, il governo Meloni si trova a un passo dal muovere una pedina che potrebbe magnificamente stravolgere gli equilibri della politica italiana, avvicinando la destra alla sinistra, allontanando la destra più estremista dalla destra meno estremista e trasformando gli amici in avversari e gli avversari in alleati. Il palco è l’Italia, lo abbiamo detto, con i suoi Donzelli, con i suoi Lollobrigida, con i suoi Sangiuliano, con i suoi La Russa, con le sue Ester Mieli, con i suoi giovani fascistelli nostalgici, con la sua classe dirigente improbabile regolarmente a disagio quando non c’è una Meloni in grado di togliere le castagne dal fuoco. La realtà, invece, è l’Europa dove tutto quello che qui appare bizzarro, stravagante, stralunato e impresentabile, a Bruxelles non può che apparire incredibilmente miracoloso. Si può ironizzare quanto si vuole sulla combriccola degli scappati di casa che forma la constituency improbabile della banda Meloni. Ma alla vigilia del voto favorevole che la leader di Fratelli d’Italia darà a Ursula, voto che verrà nascosto, dissimulato, minimizzato, c’è un fatto difficile da negare. In Europa, le destre sono spezzate in mille rivoli e non riescono, non vogliono, non possono dialogare tra loro.
 

In Italia, le destre che non riescono a dialogare in Europa dialogano bene al governo e il paese che tutti gli osservatori europei osservano come un modello da seguire per provare a normalizzare le destre europee è proprio quello formato da una classe dirigente che tutti noi abitualmente definiamo sciatta, immatura, provinciale e, appunto, fuori dal mondo. Bel mistero, no? Il palco dell’Italia, ovviamente, permette di illuminare i difetti interminabili della destra di governo, e viene naturale chiedersi che fine farebbero i conservatori italiani se non ci fosse lo scudo della Meloni. Ma anche gli avversari di Meloni, oltre che indignarsi per le parole fuori tempo usate dal presidente del Senato sui ballottaggi (c’erano 364 giorni per criticare i ballottaggi, La Russa è riuscito a trovare l’unico giorno in cui sarebbe stato meglio tacere) dovrebbero iniziare a trovare le parole giuste per riconoscere l’enormità di quello che accadrà tra pochi giorni a Bruxelles: un partito filo putiniano nato con l’idea di far uscire l’Italia dall’euro arrivato a cambiare la sua rotta al punto da diventare un impensabile argine contro i putinisti e contro gli anti europeisti.
 

Si può dire che le svolte meloniane in Europa siano state spesso dettate da spinte più vicine alla necessità che alla convinzione. Ma rispetto a quello che succederà tra giovedì e venerdì quando il capo del governo italiano metterà a disposizione prima il voto favorevole dell’Italia al pacchetto di nomine europee (Von der Leyen, Costa, Kallas) e poi tra poco meno di un mese il voto favorevole del suo partito al Parlamento europeo (sempre sul pacchetto delle nomine) ciò che si presenterà di fronte agli occhi degli osservatori sarà uno scenario diverso da quello evocato ieri da Meloni in un video costruito per allontanare lo sguardo sui risultati dei ballottaggi (autonomia: c’è una guerra civile in Italia fomentata dalla sinistra, niente meno). E sarà uno scenario all’interno del quale la destra italiana, una destra in grado grazie all’intuizione di Berlusconi di creare coalizioni populiste a parole ma spesso concrete nei fatti, si andrà ad alleare con il mainstream europeista per combattere gli estremisti europei facendo un passo decisivo per far nascere una maggioranza costruita per combattere molti “ismi”: i putinismi, gli estremismi, i nazionalismi, i populismi, gli anti europeismi. E per quanto possa suonare strano, in Europa ci sono pochi paesi che come l’Italia possono vantarsi di avere una destra tanto sgangherata quanto concreta nel combattere i fascismi del presente. Il film è sempre lo stesso: il palco è l’Italia, la realtà è l’Europa.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.