I numeri
Il flop M5s alle comunali, città per città. E domani a Roma arriva Dibba
In media il M5s si è fermato intorno al 5 per cento, più che dimezzando le percentuali del 2019. Arranca nelle principali città e al sud, un tempo serbatoio di voti. Benzina per i critici di Conte e dell'alleanza con il Pd. Intanto domani Di Battista consegna in Senato le firme per il riconoscimento dello stato di Palestina
Cinque anni fa a Caltanissetta il M5s aveva eletto il sindaco, Roberto Gambino, ottenendo 14 seggi in Consiglio comunale. Il capoluogo siciliano da lunedì è passato alla destra, mentre i grillini hanno ottenuto solo un consigliere comunale. A Bari gli eletti in Consiglio erano 3, adesso solo uno. A Lecce il M5s non è riuscito a confermare l'unico seggio conquistato cinque anni prima. A Pescara si è passati da 4 a 1. A Campobasso, dove era primo cittadino il pentastellato Roberto Gravina (ora in Regione), i consiglieri eletti erano una ventina, sono diventati 3. Sono i numeri del flop grillino alla comunali di due settimane fa, quelle in cui – come abbiamo raccontato sul Foglio – il M5s ha eletto in totale 94 militanti, mentre nel 2019 erano stati 416. Un'emorragia di consensi che si fa ancora più significativa considerando gli ultimi tre anni: in questo intervallo temporale i consiglieri non confermati arrivano addirittura a 880.
Il dato delle europee insomma, al di sotto del 10 per cento, era preoccupante. Ma quello che arriva dai territori è ancora peggio: in media, nelle città in cui si è votato la percentuale ottenuta dal M5s si ferma al 4.99 per cento. Meno della metà del dato analogo relativo al 2019, in quell'occasione si arrivava all'11,7 per cento. Sono cifre che aiutano a spiegare anche perché nelle elezioni regionali il Movimento è impalpabile. In Sardegna, dove pure è stata eletta la prima e unica governatrice a 5 stelle, Alessandra Todde – in coalizione con il Pd –, il risultato della lista grillina non era stato eccezionale: 7,8 per cento.
A preoccupare inoltre è il fatto che pure al Sud, nelle regioni che storicamente rappresentavano il bacino di voti pentastellati, il Movimento continua a calare. Sempre confrontando i risultati di queste ultime amministrative con quelli di 5 anni prima ecco che in Sicilia, Puglia e Campania la percentuale è all'incirca dimezzata, oggi è tra il 5 e il 6 per cento.
Al momento, almeno pubblicamente, non si sono registrate grosse prese di posizione contro il leader Conte, se non quelle dei duri e puri della prima ora, come Virginia Raggi o Danilo Toninelli, che ancora fanno parte del Movimento. Ma i numeri impietosi di questa tornata elettorale rimbalzano nelle chat dei parlamentari. E secondo i più critici rappresentano un altro segno che l'alleanza, più o meno strutturale con il Pd, non solo non giova al Movimento, ma addirittura lo indebolisce, lo prosciuga. E in effetti in questo schema, e con questi esiti, sono i dem –soprattutto nella città, dove sono storicamente molto forti – a dare le carte. Nel 2019 al contrario non c'era alcun accordo, il M5s correva da solo.
Inevitabile allora che a finire sul banco degli imputati ci sia anche Giuseppe Conte, capo politico del M5s ormai dal 2021. “Non è in discussione”, ripetono sin dal giorno dopo le europee tutti i parlamentari, pur ammettendo che c'è qualcosa da correggere. Difficile immaginare però che l'ex premier possa essere disarcionato, ma qualcosa tra i grillini dissidenti si muove. Esiste una quota, ancora minoritaria, che sogna un ritorno alle origini. Raggi per esempio l'ha detto pubblicamente, unendosi al coro di tanti fuoriusciti dal M5s.
Intanto domani Alessandro Di Battista arriverà a Roma, sarà in Senato in mattinata, per consegnare le firme raccolte con la sua associazione, Schierarsi, per chiedere il riconoscimento dello stato di Palestina. “Ma non sarà una manifestazione”, ha spiegato, aggiungendo che non sono attesi esponenti grillini ad accompagnarlo. Qualche settimana fa però proprio Raggi si è fatta fotografare mentre presenziava a uno dei banchetti dell'associzione di Dibba. Chissà.