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La parabola

Il M5s evapora nelle città. In tre anni, con Conte leader, i grillini hanno perso 880 consiglieri comunali

Ruggiero Montenegro

Da Raggi e Appendino fino all’irrilevanza. I grillini non riescono a confermare i (pochi) sindaci uscenti mentre a Bari e Firenze sono stati quasi ininfluenti. Il frutto di scelte che hanno dimenticato la dimensione locale

Un tempo vincevano a Parma e Livorno, ma soprattutto a Torino e a Roma. Negli ultimi tre anni invece, cioè da quando all’incirca il capo politico è Giuseppe Conte, il Movimento 5 stelle nelle città  è in caduta libera. Non riesce a confermare i pochi sindaci che aveva e continua a perdere consiglieri su consiglieri: tra il 2022 e il 2024 ne ha persi 880.   “Vaporizzati”, per dirla alla Beppe Grillo. Sono numeri che fanno il paio con la percentuale da discount delle europee – 9.99 – e raccontano la progressiva irrilevanza grillina nei territori. Proprio dove tutto era partito a suon di “Vaffa” e meet up. Quando ancora la politica dal basso, la partecipazione, era la principale prerogativa e quando il Movimento preferiva le campagne elettorali nella piazze a quelle nei teatri. Altro che slide e presentazioni alla   Steve Jobs. 

Il consenso, è noto, si è ormai fatto volatile.  Va e viene. E però addentrandosi nei numeri si capisce  come la parabola del M5s sia figlia non solo delle  moderne tendenze dell’elettorato ma anche, forse soprattutto,  di precise scelte politiche e di un certo disinteresse verso la dimensione locale. A Bari e Firenze per esempio il M5s poteva giocare un ruolo centrale, ma alla fine per fare la guerra al Pd,  si è rivelato ininfluente. E se si confrontano i risultati degli ultimi tre anni con quelli delle rispettive tornate elettorali di cinque anni prima, nel periodo tra il 2017 e il 2019,  la fotografia è impietosa: i grillini eletti nei consigli comunali sono scesi da 1036 a 156: meno 85 per cento. 


Nel 2017, per dire, i consiglieri eletti erano stati 337, nel 2022 ne sono stati confermati solo 35; un dato simile in percentuale a quello che si ottiene confrontando 2018 e 2023: da 283 a 27. In entrambi i casi siamo intorno al meno 90 per cento. Va un pochino meglio nel rapporto tra 2019 e il 2024: in questo caso si scende da 416 a 94 (meno 77 per cento). Sono questi gli anni in cui, sullo slancio dell’esperienza a Palazzo Chigi,  Conte è stato leader assoluto e praticamente indiscusso. Dal governo con la Lega a quello con il Pd, fino al sostegno a  Draghi. Una stagione in cui il Movimento è stato tutto e il contrario di tutto, ha votato i decreti sicurezza di Salvini e ha lavorato successivamente per abolirli. E' stato alleato dei dem, presentandosi dopo come ostico avversario alle  politiche. Ha votato per le armi in Ucraina per poi riscoprirsi forza pacifista. Inseguiva il voto d’opinione, mentre veniva meno l'attenzione ai territori, insieme a molte delle regole della prima ora. Il M5s ha derogato a tante cose, tranne a quelle  che probabilmente avrebbero permesso una tenuta migliore, la creazione di una vera classe dirigente e di strutture in grado di resistere almeno in parte alla volatilità del consenso. Eppure proprio nelle città il M5s aveva cominciato ad affermarsi, conquistando spazio e un poco alla volta quella credibilità elettorale, culminata nel 2018 con il grande exploit delle politiche. 

Nel 2012 Federico Pizzarotti veniva eletto a Parma con i grillini, due anni dopo toccò a Filippo Nogarin a Livorno. Era il prologo alla conquista delle grandi città. Nel 2016 il M5s si prese Torino, con Chiara Appendino – considerata da molti la numero due nel Movimento – e soprattutto Roma con Virginia Raggi, che oggi è invece la principale avversaria interna dell’ex premier. Due facce della stessa medaglia, e probabilmente non per caso. Nel frattempo Conte prova a rilanciare il M5s, ha annunciato una costituente dopo l’estate “in cui tutto sarà in discussione”. Ma forse, dopo tante capriole, è fuori tempo massimo. Nelle città il M5s è già evaporato.

 

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