Ridateci Drive In

Leggere l'intervista a Marina Berlusconi sul Cav. e non riconoscere il Cav. (ma solo la Ztl)

Salvatore Merlo

Se è comprensibile che una grande famiglia d’imprenditori milanesi oggi si abbandoni al bisogno di esorcizzare la paura dell’esproprio proletario, verrebbe soltanto da dire: però risparmiate Silvio Berlusconi. L’uomo indescrivibile che attorno al proprio carisma ha fatto vorticosamente roteare la Seconda Repubblica e la follia di un paese intero

Dateci Drive in e Tinì Cansino, tenetevi Walter Siti. Con tutto il rispetto per Walter Siti, ovviamente, che capirà cosa intendiamo dire. L’intervista di Marina Berlusconi al Corriere della Sera sul papà, sul Cav., cui adesso  viene dedicata una casa editrice “liberale”, ci riporta all’antico dilemma: a chi appartengono gli uomini che hanno fatto la storia? Alla famiglia o alla patria? (e qui chiediamo perdono non a Siti, ma a Cavour e a Garibaldi). Chi li capisce meglio, la famiglia o il popolo? Perché in quell’intervista non abbiamo riconosciuto l’uomo che ha salvato l’Italia con Eva Grimaldi e Massimo Boldi, quello che insomma ci ha fatto capire che Umberto Smaila è assai meglio di Antonio Gramsci.

 

Non abbiamo visto l’uomo che con  la nota scanzonata e commerciale delle sue tv,  che a tanti appariva fuori tono, inopportuna, se non addirittura volgare, ha invece incarnato i magnifici anni del riflusso ideologico salvandoci dai figli di quei ricconi che sparavano per strada e facevano esplodere le bombe negli anni Settanta. L’idea di piacere alla sinistra, e agli intellettuali cosiddetti, alla quale Marina rivolge oggi  espressioni di apprezzamento dedicando al padre una casa editrice e non un musical, la voglia di darsi un tono, ha attraversato anche il Cavaliere, forse, lui che voleva piacere a tutti e probabilmente non capiva com’era possibile che quelli invece lo odiassero così tanto.

 

Ma la pedagogia del Cav. – se così la si può chiamare – era antiparruccona, portava il colore a quella tv che per Berlinguer doveva restare in bianco e nero. Berlusconi  soffiava via la forfora dalle grisaglie tarmate del Pci e dal tweed di Nanni Moretti mentre con il suo buon umore infondeva   elettricità alla folla degli italiani chiamati alla prova del moderno. E se è comprensibile che una grande e cospicua famiglia d’imprenditori milanesi oggi, legittimamente, si abbandoni all’eterno bisogno  di esorcizzare la paura delle paure, l’esproprio proletario, verrebbe soltanto da dire: però risparmiate Silvio Berlusconi. Quello che abbiamo conosciuto noi che non l’abbiamo conosciuto.

 

La figura storica. Lui. Lui. Lui. E ancora Lui. Il gigante anomalo, dottore di amoralismo politico come nel Medioevo si poteva esserlo in teologia, l’imprenditore rampante che riusciva a vendere gli appartamenti ancora prima di averli costruiti, quello che non si era mai fatto spaventare da nessun affare, quello che ha sempre vissuto di avventure, azzardi, percorsi obliqui, il creatore di Forza Italia e del Pdl, ma anche il distruttore di Forza Italia e del Pdl, l’amanuense di se stesso, l’uomo indescrivibile, indefinibile, che attorno al proprio carisma ha fatto vorticosamente roteare la Seconda Repubblica e la follia di un paese intero. Lasciate libero Silvio Berlusconi. Anzi, ridateci Drive in e tenetevi Walter Siti (con tutto il rispetto). 

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.