L'intervista

Fini: "Il caso Fanpage? Via gli idioti. Donzelli faccia vedere ai ragazzi Schindler's List tre volte di seguito"

Simone Canettieri

L'ex capo di An: "I video che ho visto non sono nostalgici, ma un film dell'orrore. Per fortuna che dopo aver cercato di archiviare il caso, il partito ha preso delle decisioni"

“Guardi, non mi faccia ricordare come mi comportai, da leader di An, con certi personaggi e davanti a certi atteggiamenti: chi conosce la storia della destra italiana può raccontarlo. Però una cosa la voglio dire”.

 

Quale, Gianfranco Fini?

“Consiglio a Giovanni Donzelli di obbligare tutti i ragazzi di Gioventù nazionale a vedere ‘Schindler’s List’. Non una, ma almeno tre o quattro volte. E di seguito. Quello non è un film, è storia”.

  

L’uomo che ha portato i post fascisti al governo in compenso ha visto l’inchiesta di Fanpage. E al Foglio spiega: “Il fatto in sé è avvilente. Poi è chiaro non mi sento nemmeno di definire quei cori e quelle battute come una ragazzata. Non ne conosco uno di quei ragazzi, non li frequento. Posso dire un’altra cosa, però”.

Ovvero?

“Dopo il tentativo di derubricare la faccenda, ha fatto bene il partito, e quindi Meloni, a dire che vanno puniti”.

Le è sembrato di rivedere scene del passato?

“No: era un film dell’orrore”. 


La svolta di Fiuggi, l’epigrafe sul fascismo male assoluto scritta nella storia durante il viaggio a Gerusalemme nel 2003 nel museo dell’Olocausto con la tradizionale kippah sul capo e poi l’abiura delle leggi razziali, Salò bollata come pagina vergognosa. Fini non ha certo bisogno di analisi del sangue. E quanto è emerso dall’inchiesta su Gioventù nazionale lo lascia basito, dice.

“Siamo nel 2024 e questa non è ideologia marcia, nostalgia, ma ignoranza diffusa. Ragazzi, parliamoci con sincerità: come si fa, anche solo a pensare di scherzare, a dire e fare certe cose? Su una questione come l’Olocausto e i totalitarismi in generale del Novecento certe reazioni sono semplicemente indice di ignoranza. Un delirio idiota”. 


Questo spaccato del vivaio di Fratelli d’Italia è anche la conseguenza di un partito chiuso che non apre a nuove culture politiche dalle basi fino ai vertici?

“No, non credo che quanto emerso sia il frutto di un mancato processo di elaborazione politica. Sarei ingiusto. Anche perché questi sono meccanismi graduali, altrimenti si rischia di fare un minestrone senza identità, ci vuole tempo. E bisogna meditare bene sulle scelte”.

Però senza una reazione netta di condanna davanti a questi singoli episodi è tutto il partito, quello dei seniores, a rimetterci.

“Capisco il ragionamento, ma non ci sto a dire che Fratelli d’Italia è un partito rimasto indietro con i tempi. E’ vero, altresì, che questi comportamenti sono incomprensibili e vanno stroncati con forza e mano pesante Io sono vecchio ormai, ma ci sono cose che veramente mi hanno lasciato di stucco”.

Si riferisce ai saluti romani, ai duce duce, ai Sieg Heil, alle battute su neri ed ebrei?

Mi ha colpito che chi accoglieva con tutti gli onori la senatrice di Fratelli d’Italia Ester Mieli, che conosco da anni, si metteva poi a sfotterla alle sue spalle: idiozia pura. Non si può scherzare davanti a queste cose, su”.

Fini non vuole parlare di quando reggeva il bastone del maresciallo nella destra italiana (“chi conosce le cose può rendere spontanee dichiarazioni: è tutto agli atti”). Questa vicenda di Fanpage ha ricordato però la vicenda Pozzolo: affrontata dallo stato maggiore di Fratelli d’Italia allo stesso modo. Il deputato che si presentò armato a un veglione di Capodanno, e dalla cui pistola partì un colpo ferendo una persona, all’inizio venne bollato come un fatto di “cronaca, non politico”.

Salvo poi essere sospeso con parole definitive da parte di Meloni giorni dopo. Così come, in prima battuta, il ministro di FdI Luca Ciriani chiamato a rispondere in Aula della prima parte dell’inchiesta su Gioventù nazionale, ha parlato di “immagini decontestualizzate che si prestano a strumentalizzazioni”. Salvo poi aspettare la seconda e prendere provvedimenti. Di Pozzolo, Fini raccontò un aneddoto a questo giornale lo scorso gennaio: “Quando ero presidente di An, lo allontanammo, senza nemmeno espellerlo, dalla federazione di Vercelli perché era un violento estremista verbale. Il suo caso non finì sulla mia scrivania, ma se ne occupò Donato Lamorte, capo della mia segreteria politica. Capimmo che era un balengo, come si dice in Piemonte, e lo accompagnammo alla porta: via, andare”. Adesso l’ex presidente della Camera propone la cura che adottò con il deputato pistolero: “Serve una terapia d’urto, chi ha sbagliato va messo alla porta”. 
 

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.