Altro che Ilaria Salis, candidate Giovanni Toti alle prossime europee

Claudio Cerasa

L’arresto, la gogna mediatica e nessuna “pistola fumante”: vedere l’inchiesta sul governatore della Liguria che diventa una minaccia allo stato di diritto dovrebbe stare a cuore anche a chi anima il mondo progressista. E a maggior ragione dopo il caso Salis

Altro che Ungheria, altro che Ilaria Salis. La campagna elettorale per le europee, lo avete visto, ha spinto molte persone a considerare la storia della signora Salis, oggi onorevole, come un caso simbolo di quel che capita a un cittadino quando si ritrova a fare i conti con una giustizia meschina, ingiusta, abituata a far vivere gli indagati dentro l’incubo della gogna. Salis, eroina antifascista, divenuta celebre tanto per le sue vergognose condizioni nelle carceri ungherese quanto per le sue presunte colpe ungheresi – non è ancora chiaro se l’essere stata nelle carceri di Orbán abbia pesato più o meno dell’essere accusata di aver malmenato dei fascisti ungheresi – è diventata un simbolo assoluto per un pezzo del mondo progressista per via di tutto ciò che le sue immagini con i ceppi al braccio hanno dimostrato in modo inequivocabile: uno stato di diritto maturo, oggettivamente, non si comporta così.

  

L’attenzione certamente sincera che la signora Salis ha suscitato nei suoi follower, per ragioni ovviamente del tutto scollegate al fatto che Salis era detenuta in un paese guidato da un sodale della premier italiana, dovrebbe quantomeno avere un effetto: spingere il mondo progressista a drizzare le antenne rispetto ai casi in cui vi è un sistema giudiziario che abusa del proprio potere al punto da trasformare un processo in una minaccia allo stato di diritto di un paese. E’ un peccato, da questo punto di vista, che le europee siano appena passate, perché fossero arrivate tra qualche mese la persona giusta da candidare per mostrare in purezza i meccanismi perversi veicolati da un sistema giudiziario impazzito è lì di fronte a noi anche se in molti provano a non vederla. Vi diamo un indizio.

 

Si chiama Giovanni Toti. E’ stato rieletto quattro anni fa come governatore  della Liguria. E’ stato arrestato a inizio maggio in una camera d’albergo. E’ agli arresti domiciliari da quasi due mesi. E’ stato arrestato cinque mesi dopo la richiesta di arresto, arrivata a fine dicembre 2023, per paura che potesse reiterare il reato in vista delle elezioni europee. E’ indagato per corruzione, ma in quattro anni di indagine la procura di Genova non è riuscita a trovare uno straccio di pistola fumante. E’ indagato per aver compiuto degli atti politici di cui avrebbero beneficiato imprenditori che hanno finanziato il suo comitato elettorale, ma non c’è alcun bonifico ricevuto da Toti che non sia tracciato e non esiste alcuna possibilità di poter considerare al di là di ogni ragionevole dubbio un atto politico del governatore favorevole a un suo finanziatore come un atto politico fatto solo perché quell’imprenditore ha finanziato la sua campagna elettorale.

  

In due mesi di gogna mediatica, al governatore in questione è stato contestato di aver incassato soldi su un altro conto, salvo poi scoprire che l’altro conto in questione era il conto del partito. Gli è stato contestato di aver partecipato ad alcune riunioni con altri soggetti indagati senza telefonino, elemento questo che da diversi pappagalli delle procure è stato considerato come una prova schiacciante della sua colpevolezza e una fonte investigativa riportata da molti giornali ha definito questa pratica come un atto tipico “del gangster”.

 

E ancora. Una trascrizione errata di un verbale del figlio di uno dei soggetti indagati, il dottor Roberto Spinelli, figlio di Aldo Spinelli, ha riportato che il suddetto Roberto Spinelli avrebbe confessato che i bonifici fatti dal padre al governatore erano “illeciti”, salvo poi scoprire che Spinelli junior aveva detto “leciti”, durante un colloquio con i pm, e non “illeciti”.

 

E ancora, perché non è finita e perché la memoria di qualcuno potrebbe fare difetto. Tutte le intercettazioni che avete letto in questi mesi del suddetto indagato sono state ricavate grazie a un’acrobazia giudiziaria, se così possiamo definirla. I pm genovesi non potevano intercettare Toti per il capo di imputazione legato al finanziamento illecito ai partiti. E per poterlo ascoltare hanno interpretato in modo discrezionale una conversazione del governatore con il capo di gabinetto dove hanno ravvisato, con grande creatività, elementi utili per poterlo accusare di corruzione e per poterlo così finalmente intercettare. In questi due mesi, e anche dopo un interrogatorio durato otto ore, sono poi successe altre cose che forse non accadrebbero neppure in Ungheria.

 

A Toti è stato suggerito di dimettersi per poter tornare in libertà. E successivamente, una volta esaurita la tornata elettorale delle europee e delle amministrative, gli è stata negata l’uscita dai domiciliari in quanto tra un anno e mezzo in Liguria vi saranno le elezioni e quell’orizzonte potrebbe spingere Toti a reiterare il reato di cui è accusato e per il quale non esistono ancora pistole fumanti in grado di dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio l’esistenza di un reato commesso. Il caso Toti è uno scandalo nazionale non per le accuse di cui il governatore della Liguria deve rispondere, ma per il modo in cui una procura della Repubblica con la complicità del circo mediatico-giudiziario ha creato un precedente pericoloso.

 

Anzi, un doppio precedente. Se non vuoi avere guai con una procura, evita di far finanziare il tuo partito dagli imprenditori, e pazienza se poi il tuo partito non ha soldi per fare politica, perché è evidente che se c’è un politico che attira i soldi degli imprenditori, attorno a quel politico deve esserci per forza qualcosa di marcio. Secondo: se sei indagato, sei agli arresti e vuoi essere libero, devi dimetterti, perché il fatto che vi possano essere delle elezioni nei mesi successivi è un indizio chiaro che il reato per il quale sei accusato senza prove schiaccianti potrebbe essere ripetuto.

 

Se pensate che il caso Salis sia una vergogna giudiziaria, è perché avete scelto di mettervi degli affettati sugli occhi rifiutandovi di vedere cosa ci racconta il caso Toti su un tema che dopo il caso Salis dovrebbe stare a cuore anche a chi anima il mondo progressista italiano: vedere un’inchiesta che diventa una minaccia allo stato di diritto di un paese. Lo ha detto persino Beppe Grillo, giorni fa: “Non si possono mettere sullo stesso piano chi chiede un contributo elettorale e chi gestisce una risorsa pubblica in conflitto d’interessi, per poi orchestrare un linciaggio mediatico di entrambi. Ci sono finito anch’io, per accuse che spaziano dal traffico d’influenze illecite alle percosse e alle lesioni personali. Questo modo d’informare è un’arma di distrazione di massa, come dico da sempre. E purtroppo ci siamo cascati anche noi”. Se fosse possibile farlo, Toti meriterebbe di essere candidato, alle prossime europee, in tutte le circoscrizioni d’Italia. Altro che Ungheria, altro che Ilaria Salis.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.