Il Foglio Weekend

Santoro, Grillo, Sgarbi e gli altri: la caduta dei santoni che puntavano all'Europa

Michele Masneri

L’invincibile armata di guru e paraguru candidati alla fine non era così invincibile. Il caso Marino, da marziano a visionario

Non c’è solo il dato drammatico di Biden, sottoposto nel primo dibattito per le presidenziali americane una serie di momenti “Presidente!” (come dell’anziano senatore a vita Andreotti imbambolato in diretta a  “Quella domenica” da Paola Perego nel 2008). Se l’America deve fare i conti con gli anni azzurri, il Vecchio continente sembra, per quanto bollito e ribollito, essersi stufato degli anziani. Ci vogliono leader giovani, energici, magari donne. Così se l’Italia si conferma laboratorio politico – oltre a Giorgia Meloni e Elly Schlein ora in tanti sogniamo la discesa in campo della “cavaliera” (copyright Giuliano Ferrara) Marina Berlusconi, alfiera delle Ztl alla riscossa contro la Vandea de noantri dei Pillon e dei Lollo, qualcosa è cambiato. Se in America riusciranno a convincere Biden a farsi da parte, impresa versione extralarge di quei nipoti che devono convincere il nonno sordo e miope a smettere di guidare la macchina causando esiziale minaccia agli altri guidatori, l’Europa si è data una bella svecchiata. In particolare con la ganza quarantasettenne Kaja Kallas, prima ministra dell’Estonia, diventata Alto (o Alta?) rappresentante, insomma maxi-ministra degli Esteri dell’Unione. E se la riconfermata Ursula von der Leyen ha 65 anni e il nuovo presidente del Consiglio europeo António Costa 62, si tratta comunque di pischelli rispetto all’armata di anziani guru che l’Italia aveva messo in campo alle Europee. 

 

E Bruxelles non è il Portogallo o l’Albania, mete predilette per i pensionati nostrani che lì migrano in massa per godersi la pensione al netto dell’Irpef (ma in Portogallo non più, è cambiata la legge).  Eppure fino a qualche mese fa si pensava, almeno in Italia, che l’Europa fosse una straordinaria Rsa per anziani di successo: una casa di riposo di lusso come quella di Alberto Sordi nell’episodio dei “Nuovi mostri” “Come una regina” (“ma che, je menano?”) o meglio ancora come  quella di “Amici miei atto terzo”, ultimo capitolo della saga con Adolfo Celi che fa il primario prof. Sassaroli, Tognazzi il conte squattrinato Mascetti, Renzo Montagnani il barista Necchi.  Tutti anziani ma ancora attivi anzi iperattivi con enorme voglia di vivere.

 

Come alle Europee: si era già detto, dell’armata di vegliardi anche prestigiosissimi, pronti a imbarcarsi per Bruxelles e Strasburgo. Quasi a voler scaricare sul welfare belga o comunitario la terza età in piena libertà. E sia detto senza ageismo, che qui si son sempre amati i vegliardi (e come diceva Arbasino: tra la nipote e la nonna, sempre scegliere la nonna). Però è incontestabile che l’armata Brondi era pronta: costituita com’era da donne e uomini dotati di quel carisma speciale di guru, di vecchi saggi, carismatici visionari, che indicassero finalmente la via. Prima delle Europee nacque una speciale falange che imperversava in tv, di destra, di sinistra, quasi mai di centro, come se contrariamente a quel che si pensa del maturare, l’estremismo crescesse invece che appianarsi. Figure sapienziali, dotate di aura consustanziata e rodata da decenni nell’accademia, nella politica, nella televisione, e ora dopo lunga lievitazione, col lievito madre o padre dell’ambizione, pronti ancora per un nuovo estremo incarico. Tutti contraddistinti da (beati loro) ampia e candida capigliatura. A partire da Ginevra Bompiani, che davvero potrebbe essere la affascinante nobildonna ancora vogliosa di avventure Amalia Pecci-Bonetti interpretata dalla straordinaria Caterina Boratto, che fa impazzire l’architetto Rambaldo Melandri (il compianto Gastone Moschin) amico del Mascetti. 

 

Scatenata in tutti i talk col suo caschetto candido, fiera di un nome e soprattutto di un cognome che richiamano le più nobili avventure intellettuali ed editoriali italiane. “Principessa tolstojana finita in un racconto di Cechov” come la definiva nientemeno che Mario Pannunzio. Bompiani va detto che in un mondo in cui anche noi col mutuo e il quarto piano senza ascensore ci prendiamo del radical chic, è una delle poche figure che possano fregiarsi dell’epiteto.  Figlia di Valentino, fondatore della casa editrice, traduttrice, scrittrice, animatrice culturale, compagna di Giorgio Agamben, il Rambaldi della filosofia; docente universitaria, era comparsa pure nella “Notte” di Antonioni.  Bompiani nella sua campagna di primavera primeggiava in ogni talk: “Se io dovessi scegliere tra Netanyahu e Putin sceglierei Putin”, aveva detto a PiazzaPulita da Formigli. “Putin poteva distruggere Kiev in due giorni e l’Ucraina in una settimana, ma non l’ha fatto perché l’Ucraina è il cuore della Russia”. Sul caso Genova, Toti e i suoi? Ovviamente colpevoli. Eppure non ce l’ha fatta: così come non ce l’ha fatta il suo partito, “Pace Terra e dignità”, il listone Cocoon che è rimasto fermo al 2,3 per cento. La percentuale maggiore è stata ottenuta al centro con il 2,7, mentre quella più bassa al sud con l’1,8 per cento. 

 

E nemmeno l’inventore, fondatore, animatore del listone abbrunato è passato. Chi l’avrebbe mai detto: il santone Michele Santoro che aveva adottato oltre all’occupazione progressiva di molti spazi televisivi un motto che richiamava l’antico “si vis pacem para bellum”, ma adattato ai tempi della nuova tautologia. “Se vuoi la pace vota la pace”, predicava. Ma non l’ha voluta nessuno, pare, questa pace. O almeno la sua. Col suo testone di ricci candidi, Santoro campeggiava spesso in tv in solitaria con l’occhio spiritato, un po’ predicatore millenarista, un po’ portatore di oscuri presagi e vaghe speranze. “Non si tratta solo di desiderare la pace, si tratta di uscire dalla guerra. Se quelli che non votano, andassero a votare, si creerebbe una valanga”. Ma poi, più realisticamente, valanga a parte: “Certo, se il risultato fosse estremamente deludente, allora dovremmo prenderne atto e continuerò le mie battaglie in altro modo. Ma se fosse un risultato apprezzabile, ci sarebbe un testimone da portare avanti”. 


Dell’armata santoriana facevano parte altri straordinari personaggi: lo storico Angelo D’Orsi, 77 anni, che pochi giorni prima dell’invasione dell’Ucraina rilasciò un’intervista  augurandosi che l’intervento russo durasse il tempo necessario “a dare una lezione al governo di Kiev”. A una festa di Rifondazione comunista D’Orsi poi dichiarò che  “Putin sta facendo qualcosa per tutti noi, sta cercando di opporsi all’unipolarismo più bieco”.  E che dire di  Pino Arlacchi, 73 anni di antimafia affinati  in barrique: “La reazione armata della Russia è stata certamente un eccesso di legittima difesa che ha fatto in un certo senso il gioco degli antagonisti occidentali”. Arlacchi oltre al sapore rétro dell’antimafia ha anche note di testa di una sigla che non si sentiva da anni: la Cia. Per lui anche la strage di Mosca di marzo,  oltre cento morti nella sala da concerti russa, si deve a “killer addestrati e armati da un’entità superiore” (che richiama un po’ le “menti raffinatissime” di siciliana memoria), oppure, naturalmente “il governo ucraino su input della Cia”. 

 

Perché i nuovi anziani santoni sanno che il complottismo si porta con tutto, il complottismo va bene a tutte le età e su tutte le taglie come un completo di Marina Rinaldi. Santoro voleva in particolare “raccontare quello che altri non raccontano, per squarciare il velo di omertà su ciò che non viene detto dai media ‘ufficiali’”. Pur avendo lavorato non in oscuri giornali ciclostilati clandestinamente o nel dark web ma in media abbastanza generalisti per  cinquant’anni peraltro con enorme successo. Ma è il fascino del “nontelodikono”, con la kappa, come nei migliori gruppi di anziani su Facebook, dove si analizzano scie chimiche, 5G, conseguenze di vaccini, Soros e Illuminati, il tutto collegato e mixato. Il  complottismo agé è una grande Cesano Boscone (intesa come la comunità dove Berlusconi prestava servizio sociale ai vecchietti per espiare le condanne) del sospetto. 

 

In questa villa Arzilla di irriducibili un posto d’onore toccherebbe anche al più guru di tutti, Beppe Grillo, 75 anni, che dalle Europee, che hanno affossato forse definitivamente i suoi Cinquestelle, è uscito invece come rinvigorito, come dopo un’iniezione di quelle che nei Simpson un altro vecchietto carismatico, Mister Burns, si fa fare dal fido e innamorato assistente. Grillo, altro  capoccione candido della Repubblica, è ripartito come spesso ripartono le signore, cambiando taglio di capelli, e adesso con un taglio all’indietro e i ricci piastrati, riparte dal flop del suo partito che ha dimezzato i voti (dai 4,3 milioni del 2022 a 2,3 milioni di oggi) sparando nuovi slogan: Giuseppe Conte? “Ha preso più voti Berlusconi da morto che lui da vivo”.  Giorgia Meloni? “Non abbiamo più lo psiconano. Abbiamo la psiconana”. Poi  si butta in una strana teoria: alle elezioni, ha osservato, ormai “il 50 per cento delle persone non va a votare, loro hanno il 30 per cento, che vuol dire il 30 per cento del 50 per cento. Noi abbiamo il 5 per cento, ma è una democrazia?”. Per Grillo “quelli che sono andati a votare pensando di andare a votare e invece sono andati indietro di 70 anni. Forse il darwinismo è al contrario, ha selezionato i peggiori”. Insomma, i veri eletti sono quelli non eletti, e la vera democrazia è il non votare. Forse pensando già alla prossima piattaforma per il prossimo non-partito, nel frattempo Grillo è tornato ad esibirsi “on stage” con un nuovo spettacolo. Sui poster campeggia una sua foto di profilo, appunto col nuovo taglio, e lo sguardo severo  sullo sfondo di un mare in tempesta, tra Kevin Costner in “Balla coi Lupi” e la cartellonistica di propaganda presidenziale nordcoreana. Immagine, fa sapere, generata dall’intelligenza artificiale. Beppe Grillo torna in scena con un nuovo spettacolo intitolato “Io sono un altro”.  Come suggerisce il titolo, Grillo afferma di essere un altro, inseguendo e citando Vitangelo Moscarda (protagonista del romanzo “Uno nessuno e centomila” di Luigi Pirandello) e i suoi tormenti. “In realtà Grillo è sempre lo stesso”, dice il programma: “un animale da palcoscenico capace di far divertire e riflettere allo stesso tempo, affrontando un caleidoscopio di temi legati alla salvaguardia dell’ambiente, all’energia e poi ancora la scienza, la religione, la medicina”. Manco la santona di Civitavecchia. 


Un altro straordinario guru di cui avevamo narrato le gesta è Raniero La Valle, formidabile 93enne già direttore del Popolo d'Italia, poi nella Rete di Leoluca Orlando (di cui parleremo in seguito), poi assessore a Roma con Rutelli, poi estensore di una “Lista comunista e anticapitalista”. Infine ora nel listone santoriano di “Pace terra dignità”. A una domanda del Manifesto su quale gruppo avrebbe scelto una volta eletto in Europa  risponde: “bisogna ribaltare la domanda: quali gruppi sceglieranno noi? Quali gruppi confluiranno sulla nostra proposta?”. Purtroppo, non ci saranno confluenze. Piange anche un po’ il cuore per questi candidati dai passati e profili prestigiosi, usati un po’ come scudi umani per quest’ultima tenzone (sempre per rimanere in “Amici miei”, La Valle potrebbe essere Bernard Blier, il Righi.
Ma loro comunque non si buttano giù. 

 

Pensiamo a Vittorio Sgarbi. L’ex sottosegretario alla Cultura, 72enne, inserito a sorpresa nelle liste di Fratelli d’Italia nella circoscrizione Sud, ha incassato poco meno di 23mila preferenze e non è passato. Ma anche lui non si lascia scoraggiare e si è subito prodigato in una nuova incarnazione, un nuovo libro dal titolo che sembra un avvertimento  verso il governo o l’ex suo ministro dante causa, Sangiuliano. “Arte e fascismo”, sottotitolo “Nell’arte non c’è fascismo, nel fascismo non c’è arte” (Nave di Teseo, 15 euro, con introduzione di Pierluigi Battista), in cui ripercorre il complicato rapporto tra gli artisti degli anni Venti e Trenta col regime. “De Chirico, Morandi, Martini, Wildt, Guidi, la grande stagione dell’architettura e della grafica,  Depero, il Futurismo e oltre”. 

 

Scendendo di età, avvicinandoci a standard più europei, non ce l’ha fatta a essere riconfermata in Europa la paraguru Alessandra Mussolini nella sua nuova incarnazione pro-diritti (meglio fascisti che fr*ci, sosteneva notoriamente un tempo; ora ha cambiato idea). Ma già, parlando di guru e profezie, c’era stata una strana avvisaglia, un oscuro presagio in inverno. A febbraio Mussolini aveva denunciato d’essere stata aggredita, a Strasburgo, da un uomo, che l’aveva insultata e pure percossa con una stampella. “Sono stata aggredita da un uomo che parlava italiano. Una serie di insulti pazzeschi, poi aveva una specie stampella e me l’ha tirata addosso, sulla schiena e sulle spalle... adesso sto andando... cioè c’è troppa violenza…”, ha spiegato la pòra Mussolini.  Ce l’ha fatta invece Leoluca Orlando (Leoluca Orlando!) e nello stesso partito, Avs, anche  Ignazio Marino. Il formidabile ex sindaco della capitale, già soprannominato “il marziano” per la solita storia flaianesca, pedalatore in utroque, dopo aver lasciato Roma e dopo 10 anni trascorsi in America in sala operatoria, non va in Florida come gli americani a godersi la pensione ma a Bruxelles: certo il clima non è paragonabile ma in compenso fa un colpaccio: addirittura è nominato vicepresidente del gruppo dei Verdi al Parlamento europeo. Ha preso 47mila preferenze, e in un sussulto di autostima ha detto che pure un tassista romano l’ha ringraziato riconoscendolo: “lei era l’unico ad avere una visione!”. Che cosa avesse visto, però, non è stato mai rivelato. 

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).