L'editoriale del direttore

Dare carezze al lepenismo, cara Meloni, significa solo coccolare gli utili idioti dei regimi illiberali

Claudio Cerasa

Giorgia Meloni, con superficialità, ha detto che tra la sinistra e la destra lei preferisce sempre la destra, anche se estrema, non capendo però che in Francia c'è in ballo la messa in discussione delle coordinate essenziali di una democrazia liberale

Il punto è tutto qui: accettare o combattere? Gideon Rachman, formidabile commentatore del Financial Times, ci invita a non perdere la calma, a non farci prendere dal panico, a non disperarci più del dovuto perché per quanto le cose, nell’occidente libero, democratico, aperto, sembra che siano lì lì per andare a schifìo bisogna ricordare che le fondamenta delle democrazie sono più forti delle ondate, anche di quelle più dure e traumatiche, e che in fondo dovremmo tutti ricordarci, quando osserviamo i numeri di Le Pen, quando osserviamo i sondaggi su Trump, quando vediamo arrivare i Wilders in Olanda, che i timori di una sconfitta decisiva per la causa liberale e internazionalista sono esagerati, che gli elettori possono rapidamente disincantarsi dal populismo, una volta che lo vedono in azione, che in fondo negli ultimi mesi i populisti nazionali hanno perso potere in Polonia e Brasile, hanno subìto battute d’arresto elettorali in Turchia e India e che le soluzioni semplicistiche suggerite dai populisti quando arrivano al governo hanno di solito due vie di fuga: o restano coerenti con il proprio passato, facendo schiantare al suolo il proprio paese come è stato con la Brexit, o si trasformano cambiando pelle, come è stato per l’Italia.

 

Rachman non ha tutti i torti e immaginare che le democrazie liberali siano fottute solo perché si ritrovano a fare i conti con l’ascesa di due campioni dell’illiberalismo come Marine Le Pen e come Donald Trump è esagerato. Ma il ragionamento ottimistico di Rachman ha un punto debole che coincide con l’altro effetto determinato dalla non drammatizzazione dei disastri francesi e probabilmente americani. Il non voler drammatizzare anche situazioni drammatiche è una caratteristica degli ottimisti di natura ma evitare di drammatizzare l’ascesa del lepenismo e del trumpismo rischia di farci perdere contatto con tutto ciò che rappresenta l’avanzata di due ideologie politiche tossiche, nocive, dannose, che non a caso in passato hanno avuto molti punti di contatto solidi con i regimi desiderosi di limitare il potere delle società aperte, come quello putiniano.

 

A unire il modello Trump, il modello Le Pen, il modello Orbán è un mix politico letale al centro del quale vi è un’impostura. I partiti populisti, sovranisti, nazionalisti fingono di essere i nuovi inarrivabili alfieri della libertà grazie a un meccanismo tanto perverso quanto codificato. Funziona così. Si trasformano i capisaldi della società aperta, le istituzioni comunitarie, gli attori della globalizzazione, il vincolo esterno, i flussi dei migranti, nelle gabbie che ci impediscono di vivere una vita libera. E si descrive la lotta di liberazione contro queste gabbie come l’unico modo possibile di riappropriarci dei nostri spazi, di riprenderci la nostra libertà. Si può essere ottimisti, come lo è Rachman, sul fatto che il populismo sia destinato sempre a  fare i conti con la realtà. Ma non si può essere ottimisti nel valutare positivamente chi non capisce che non basta usare un piccolo tocco di cipria per far dimenticare cosa c’è dietro ai volti rassicuranti come quello di Jordan Bardella.

 

Dietro a quei volti, a quell’ideologia, a quei partiti non c’è genericamente un insieme di proposte economiche pericolose per i conti pubblici. Ma c’è qualcosa di più. C’è un insieme di proteste politiche che, prese sul serio, avrebbero come scopo finale quello di indebolire tutto ciò che ci protegge dai nemici esterni, tutto ciò che ci permette di difenderci dai nemici delle democrazie, tutto ciò che ci permette di poter stare al passo con i giganti del mondo.

 

Giorgia Meloni, con superficialità, ieri ha detto che tra la sinistra e la destra lei preferisce sempre la destra, anche se estrema, non capendo però che in Francia non c’è in ballo una sfida tra poli ma c’è una scelta più complessa: credere oppure no che rimettere in discussione le coordinate essenziali di una democrazia liberale possa essere un’opzione per un grande paese europeo, proprio come sogna da anni Vladimir Putin. Il punto è tutto qui: accettare o combattere?

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.