Il caso

Le Pen e la corsa sfrenata a destra fra Meloni e Salvini, ma con obiettivi diversi

Simone Canettieri

La premier dopo l'offensiva del leghista rompe il silenzio sulle elezioni francesi. Lei continua a trattare per la commissione, lui punta a costruire con Rn e Orban un gruppo alternativo ai Conservatori guidati dalla leader di FdI

Giorgia Meloni usa le elezioni francesi per parlare di sé. E cioè  “del tentativo costante di demonizzare e di mettere all’angolo il popolo che non vota per le sinistre”. Un trucco, aggiunge, “per scappare dal confronto sul merito delle diverse proposte politiche”. La premier interviene dopo pranzo per complimentarsi per il risultato di  Marine Le Pen. Rompe così un silenzio durato fin troppo,  per tutta la vigilia del voto e nelle 18 ore successive dall’esito delle urne. Lo fa – anche se a Palazzo Chigi fanno gli gnorri e fischiettano – per togliere la leader di Rassemblement national dal megafono di Matteo Salvini. Il vicepremier leghista da domenica non fa che twittare, dichiarare, costruire card per i social, mandare messaggi all’Europa e al mondo “su questo risultato straordinario ottenuto” con tanto di bollino di “vergognoso” per Macron.


 Un gioco di risulta, in costante contropiede. Toni da ultras con la trombetta, più che da leader con la feluca, che si possono spiegare in diversi modi.  
Salvini, cintura nera dell’incunearsi nelle contraddizioni della maggioranza di cui fa parte, non ha nulla da perdere dalle trattative europee per i commissari in corso carsicamente fra Roma e Bruxelles. Anzi si è messo da subito all’opposizione di tutto. Ha detto brava a Meloni per la posizione assunta in Consiglio europeo la scorsa settimana (un’astensione e due no rispetto alle nomine dei tre top jobs) e, per essere consequenziale, è pronto a scatenare la sua piccola truppa di eurodeputati leghisti (nove) contro il bis di Ursula von der Leyen quando fra due settimane l’Europarlamento sarà chiamato a esprimersi. 


Meloni tifava in silenzio Le Pen per l’eterogenesi dei fini: se Rn avesse ottenuto la maggioranza dei seggi al primo turno Macron sarebbe risultato indebolito nelle trattative per i vicepresidenti esecutivi. Dopo le scorrazzate verbali dell’alleato alla fine la premier è dovuta “uscire” pubblicamente. Ritrovando nell’esempio francese, un pezzo della sua cavalcata di questi quasi due anni fra Roma e Bruxelles (“ho sempre auspicato anche a livello europeo che venissero meno le vecchie barriere tra le forze alternative alla sinistra e mi pare che anche in Francia si stia andando in questa direzione”). Specchiandosi in Le Pen per quanto riguarda la capacità di aggregare forze a destra (“per la prima volta  ha avuto degli alleati già dal primo turno  e per la prima volta mi pare che anche i Républicains siano orientati a non partecipare al cosiddetto ‘fronte repubblicano’”). 


Dal punto di vista della leader di Fratelli d’Italia tutto si può risolvere parafrasando la famosa formula pas d’ennemis à droite. In una complicata partita per lo scettro della destra in Europa, all’opposizione del terzetto von der Leyen-Costa-Kallas. E soprattutto della maggioranza che lo sosterrà, in maniera più o meno aperta, a Strasburgo. E qui c’entrano le famiglie europee. I problemi intercostali di Ecr presieduto da Meloni, le mosse di Viktor Orbán e dei suoi nuovi Patrioti e soprattutto ciò che si muove dentro Id, il contenitore di cui fanno parte Salvini e Le Pen. Id ha rinviato all’8 luglio la sua riunione costitutiva dopo le elezioni europee, ovvero dopo i ballottaggi francesi. La riunione era stata programmata inizialmente per domani, lo stesso giorno in cui è prevista la riunione costitutiva dell’altro gruppo di destra, quello dei Conservatori e riformisti europei (Ecr). Da cui provengono intanto dispacci poco rassicuranti per il pallottoliere meloniano.

L’ex premier polacco Mateusz Morawiecki ha annunciato che c’è il 50 per cento di probabilità che il suo partito Diritto e giustizia esca dall’Ecr. Un’emorragia che farebbe precipitare di botto il disegno di terza forza del Parlamento europeo, in barba ai liberali. Salvini da giorni, senza riuscire a mordersi la lingua, parla di grandi novità all’orizzonte a Strasburgo lasciando intendere a un’unificazione fra lui, la leader di Rn e il primo ministro ungherese più una serie di  altri partiti satelliti dell’est Europa. Una scommessa che se vinta svuoterebbe Ecr e soprattutto un pezzo di narrazione meloniana, stretta fra un’opposizione di fatto e la ricerca di far avere (senza dirlo) i voti a von der Leyen nel segreto dell’urna fra due settimane. Nessun nemico a destra sembra essere la parola d’ordine nel  quadrilatero Roma-Parigi-Bruxelles-Strasburgo. Un piccolo stress test per il governo, con Forza Italia che si appella alla stabilità in Francia senza sbilanciarsi troppo. Ce n’est qu’un début.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.