Raffaele Fitto - foto LaPresse

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Perché il futuro delle deleghe di Fitto è tutto da decifrare

Giorgio Santilli

Cosa succede se il ministro va a Bruxelles? Tra Mef, Mantovano e una terza via: ecco le opzioni di Meloni

Giorgia Meloni è alle prese con il dilemma della sostituzione di Raffaele Fitto e l’attribuzione delle sue 4 pesantissime deleghe: rapporti con l’Ue, Pnrr, Mezzogiorno e Politiche di coesione. Il primo obiettivo della premier è resistere al pressing dei partiti alleati che vorrebbero spacchettare queste deleghe fra diversi soggetti. Viceversa, l’obiettivo strategico della premier è proprio quello di non disperdere il lavoro fatto da Fitto, accentuando queste competenze e coordinandole fra loro. La prima risposta di Meloni sarà quindi quella di affidare temporaneamente le deleghe al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, uomo forte e di sua fiducia che finora ha fatto funzionare al meglio la macchina di Palazzo Chigi e del governo. Fermato per qualche tempo l’assalto alla diligenza, la premier potrà prendersi un po’ di tempo per trovare una soluzione non facile.

Se tutte le deleghe dovessero finire a un solo uomo, questo non potrebbe che essere dello stesso partito di Fitto e della premier. Sono in molti a pensare che a quel punto l’unico uomo in grado di affrontare il compito al meglio sarebbe lo stesso Mantovano. Soluzione ottimale per la premier, salvo che aprirebbe una voragine proprio nella gestione della macchina di Palazzo Chigi. Anche in questo caso la soluzione sarebbe molto complicata. L’alternativa a Mantovano sarebbe quella effettivamente di dividere le deleghe di Fitto, senza comunque disperdere il patrimonio unitario. La soluzione più logica è ben vista a Bruxelles sarebbe di affidare il Pnrr a Giancarlo Giorgetti al Mef ricostruendo quella unitarietà di azioni che c’era ai tempi di Draghi e che proprio Fitto aveva fatto a pezzi. In questo modo sarebbe ricomposta la frattura che avrebbe portato ad attuare una riprogrammazione che vale quasi 200 miliardi (Pnrr, Fondo nazionale complementare, Fondo sviluppo coesione e fondi europei di coesione) in quattro mani diverse di cui due non-Mef. Un’anomalia forse assoluta nella storia repubblicana. Sembra però del tutto improbabile che questa unitarietà possa essere ricomposta nelle mani di Giorgetti e allora l’unica soluzione accettabile, alternativa a Mantovano, sembra riportare l’attuazione del Pnrr al Mef e nominare un nuovo ministro per l’Europa che abbia anche le deleghe per i fondi di coesione e il Sud. Assetto più tradizionale, ma l’uomo che possa giocare questo ruolo al momento non si vede ancora.

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