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Il retroscena

"Un nuovo incarico per il Ragioniere dello stato". Meloni pensa alla manovra senza Mazzotta

Simone Canettieri

Dalla Corte dei conti alle Agenzie, Palazzo Chigi prova a cambiare il vertice del ministero dell'Economia entrato in rotta di collisione. I timori per i provvedimenti da rinnovare: mancano oltre 20 miliardi di euro

Gira una lista a Palazzo Chigi con tutte le offerte appetibili per Biagio Mazzotta, Ragioniere generale dello stato inviso alla presidenza del Consiglio e anche al ministro dell’Economia. Il super dirigente di Via XX Settembre è tecnicamente inamovibile. Gli uomini e le donne di Giorgia Meloni vorrebbero che non fosse lui a “bollinare” la prossima manovra. Incomprensioni, non detti, rigidità, vecchie accuse. E soprattutto la consapevolezza che a settembre ci saranno da trovare almeno 20 miliardi di euro, frutto degli accordi scaturiti dal nuovo Patto di stabilità, votato a sorpresa a Bruxelles anche dall’Italia. 

Mazzotta poteva essere sostituito dal governo Meloni solo nei primi tre mesi di vita dell’esecutivo come prevede lo spoils system con i vertici apicali dello stato. Ora il guardiano della spesa, accusato da Giorgetti e Meloni di aver “bollinato” il disastro del Superbonus, è praticamente inamovibile. A meno che non decida di andare altrove. Promoveatur ut amoveatur.

Ipotesi che al momento ha sempre declinato, forte anche – raccontano al ministero – dello scudo del Quirinale. E però nell’asse fra Giorgetti e la premier c’è chi prova a tutti i costi, spremendosi le meningi, a fargli un’offerta importante dopo il no alla presidenza di Ferrovie, per esempio. Ecco allora spuntare, nella lista buttata giù nelle stanze dei sottosegretariati che contano, l’ipotesi della presidenza di Fincantieri, vacante dopo la tragica fine di Claudio Graziano. Chi lo conosce dice che il Ragioniere non accetterà. E lo sanno anche dalle parti di Palazzo Chigi dove hanno in mente due soluzioni da proporgli nelle prossime settimane. Un ruolo di vertice all’agenzia della privacy o una nomina come consigliere alla Corte dei Conti. Basterebbe in entrambi i casi il via libera del Consiglio dei ministri. Nel primo però la casella più importante è già ricoperta da Pasquale Stanzione: incarico che scade nel 2027. La vicepresidente dell’Autorità è Ginevra Cerrina Feroni, che punta a diventare in quota Lega giudice della corte costituzionale, ma non prima di ottobre, quando il Parlamento si sarà espresso. Più diretta invece sarebbe la nomina alla Corte dei conti.

Sempre in queste ore, caselle alla mano, il governo sta cercando con l’affanno di chi ha le settimane contate di trovare i giusti incastri per offrire a Mazzotta una sistemazione al livello del lignaggio che possiede. Sempre che il diretto interessato abbia voglia di andarsene dal ministero che guida dal punto di vista tecnico. Se l’operazione dovesse andare in porto i nomi che si fanno sono due. Il primo è quello di Giampiero Riccardi, direttore generale dell’area bilancio e attuale vice di Mazzotta. Non è un problema di appartenenza politica, spiegano dal governo. Ma aggiungono che con l’attuale Ragioniere si è rotto un rapporto di fiducia. E c’è chi ricorda lo scontro sul bonus tredicesime, annunciato da Meloni in campagna elettorale. Un provvedimento da 100 milioni di euro che alla fine è slittato per esigenze di bilancio a gennaio e non a dicembre, tempo di tredicesime.

Per il dopo Mazzotta si fa anche il nome di Daria Perrotta, attuale capo del legislativo del ministero, molto in sintonia con Giorgetti e mal sopportata dagli altri sottosegretari (almeno così dicono nelle riunioni private). Possibile davvero che sia solo un problema di vertice del ministero? Gratta gratta la questione è molto più complessa. E preoccupa, questa sì, Giorgia Meloni. Si tratta della prossima manovra. Che va presentata alle Camere a ottobre, ma che deve iniziare a prendere forma tra fine agosto e inizio settembre. Una vera e propria corsa contro il tempo per trovare almeno le coperture per rifinanziare gli ultimi provvedimenti. Le misure più importanti che insieme arrivano a quasi 18 miliardi, secondo l’ufficio parlamentare di Bilancio riguardano il rinnovo del taglio del cuneo e quello dell’Irpef (e mancano altre voci).

 

Il nuovo Patto siglato a Bruxelles non ammette deroghe e le trattative potrebbero essere più che complicate per ottenere nuovi spazi di manovra. Un bilancio lacrime e sangue per Meloni significherebbe avviarsi verso il referendum del 2026 molto depotenziata, con in mezzo, nel 2025, le sfide nelle regioni. Ecco perché bisogna trovare le coperture e magari un nuovo Ragioniere generale dello stato. Non si sa fra le due quale sia l’ipotesi più complicata da realizzare.
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.