Pd e titoli
Bonaccini, l'emerito. La contesa Pd per togliergli almeno un pennacchio da presidente
Ha un accordo con Schlein per fare il vicepresidente del Parlamento Ue, ma vuole tenere anche la carica da presidente Pd, carica puntata dai riformisti per Decaro e Gori
Roma. I riformisti cercavano un leader e hanno trovato un emerito: Bonaccini, il sughero. Vuole un altro pennacchio, una nuova poltrona da pavone, una di quelle che si afferrano per farsi chiamare “illustrissimo”, “eccellenza”. L’ultima carica che lo attrae è quella di vicepresidente del Parlamento europeo. In Italia è presidente del partito, in Europa ha un accordo con la segretaria per farsi vicepresidente, l’altro Pd, quello moderato, convinto di aver trovato in Bonaccini l’anti Schlein, gli spiega che è meglio se rinuncia a una sedia. Gli devono chiedere perfino il bel gesto e lui recitare la parte del “se serve, mi faccio piccolo”. I riformisti reclamano la presidenza del Pd, la segretaria non intende cederla. Grazie a Schlein la sinistra può finalmente ammirare un nuovo modello, il bis-presidente, il gran tappo democratico.
Quale altro segretario di partito ha la fortuna di trovare l’avversario compare, il capo che dice al rivale: “Tranquilla, i miei li stronco io?”. Dall’Emilia-Romagna arriva il massimalismo e il donabbondismo di sinistra. Schlein dirige, Bonaccini rammollisce le ginocchia delle correnti interne. Si era già distinto quando in direzione, aumm aumm, stava facendo passare come ordine del giorno, un codicillo, il nome della segretaria sul simbolo del Pd alle europee. Due giorni fa, il presidente sughero ha rilasciato un’intervista acrobatica a Repubblica, una di quelle interviste che se l’avesse lette Vittorio Feltri titolava come minimo: “Bonaccini si è bevuto lo spritz”. A Bologna lo avevano lasciato governatore riformista, il democratico che guardava al centro, un bell’esempio di amministratore, mentre oggi lo scoprono iscritto al partito “Frabonèlly”, un militante che sogna più Mélenchon per tutti perché “in Francia nasce l’alternativa democratica”. Si è messo in testa di fare il vicepresidente europeo spinto da Elly Schlein che non vede l’ora di assegnare a Bonaccini un’altra carica piuma. Con la prima, quella di presidente Pd, l’ha neutralizzato un anno, con la nuova, almeno per altri due. Dato che una Schlein vale almeno tre Bonaccini e uno Zingaretti messi insieme, nel partito dicono che “il capolavoro della segretaria è aver promesso la carica a Bonaccini, carica che pretende Zingaretti e poi ci sono le donne, le europarlamentari del Pd, che non vogliono nessuno dei due”. E due sono i Bonaccini. Da quando è stato eletto prosegue con la cancellazione del primo Bonaccini, quello che aveva illuso il Pd che non sale sui carri del Pride di aver trovato un riferimento. L’autonomia differenziata non è più quella che chiedeva lui, dice adesso, e venerdì, in direzione, quando sarà annunciata la raccolta firme, il lancio del referendum per abrogare la riforma Calderoli, Bonaccini sarà il primo ad applaudire dato che resta del Pd il presidente. Se Bonaccini, come vogliono Bonaccini e Schlein, va a fare il vicepresidente del Parlamento europeo, la carica di partito la rivendicano i riformisti, l’area di Lorenzo Guerini. Al suo posto possono essere indicati Antonio Decaro o Gori. Nel Pd i voti li hanno ancora loro, i riformisti. In Sicilia, dove capolista era Schlein, il seggio è scattato per Giuseppe Lupo, altro riformista, il democristiano del Pd, l’ex sindacalista Cisl, e con trentamila voti in più batteva perfino Schlein. Lupo ha ottenuto 49.823 preferenze, mentre Pietro Bartolo, il candidato più vicino alla segretaria, 44.805. Resta contesa questa carica da presidente dem, questa carica pennacchio, e che venga data ai riformisti non ci credono neppure i riformisti. Un anno fa, Schlein ha dimostrato quanto sia brava a scambiare queste targhe per pavoni. Al buon uomo Gianni Cuperlo tolse la presidenza della Fondazione Pd per affidarla a Zingaretti. Schlein ha fatto il capo. Si è tutelata a sinistra. Può fare lo stesso e ha tutto il diritto di farlo. La presidenza potrebbe assegnarla dunque all’ex vicesegretario Andrea Orlando, che è un’altra anima, importante, del Pd. Dopo aver passato un anno a immaginare come liberarsi di Schlein, mezzo partito si accorge che il problema non era lei ma i sugheri: vogliono la poltrona francobollo, un angolo di storia. Sono i presidenti da cartolina.
Carmelo Caruso