Ansa

L'editoriale del direttore

Le giravolte di Meloni su Ita e Tim farebbero indignare Giorgia e Le Pen

Claudio Cerasa

Voleva nazionalizzare Tim e poi ha ceduto la rete a un fondo, facendo ciò che a Draghi non era riuscito. Non voleva vendere Ita e oggi invece celebrerà il patto con Lufthansa. Cosa ci guadagna l’Italia che combatte il modello della leader sovranista francese

Sovranisti di tutto il mondo, disunitevi! Se Marine Le Pen sapesse cosa sta succedendo in Italia, in questi giorni, ci penserebbe due volte prima di accettare l’abbraccio di Giorgia Meloni, e prima di dire, come sta dicendo qualche lepenista in Francia, anvedi come balla bene Giorgia. Sovranisti di tutto il mondo, disunitevi, sincronizzate in fretta gli orologi, mettete una sveglia alle dieci di questa mattina e preparatevi a leggere una notizia che arriva dall’Europa, una storia che riguarda l’Italia e che da sola, oltre che farvi svenire, rappresenta un piccolo e clamoroso manifesto economico.

La notizia è che oggi, mercoledì 3 luglio, dopo venticinque anni di batti e ribatti, di crisi e controcrisi, di cordate e controcordate, di salvataggi e contro -salvataggi, di prestiti ponte e contro-prestiti ponte, la compagnia di bandiera italiana, la vecchia Alitalia oggi diventata Ita, sarà ufficialmente venduta,  alla compagnia tedesca Lufthansa. Venduta: proprio così. E’ una notizia clamorosa, importante, che permette alla vecchia compagnia di bandiera italiana di essere non più semplicemente “salvata” ma di essere “rilanciata” grazie a una scelta clamorosamente e inaspettatamente promossa da questo governo, che a differenza di alcuni esecutivi del passato, non solo quelli più populisti, ha scelto di mettere la ex Alitalia nelle mani di alcuni capitali coraggiosi e non più nelle mani dei soliti capitani coraggiosi. La notizia merita di essere capita, merita un commento, merita di essere contestualizzata, ma merita di essere messa a fianco a un’altra notizia importante che avrete letto sui giornali di ieri. E’ sempre una notizia economica, è sempre una notizia storica, è sempre una notizia clamorosa ed è sempre una notizia che suggeriamo di non leggere ai follower di Marine Le Pen.

La storia, in questo caso, non riguarda letteralmente una compagnia di bandiera ma riguarda una società molto importante, di nome Tim, che coincide con la più grande azienda di telecomunicazioni del paese, partecipata dallo stato attraverso Cdp, che ha il 9,8 per cento del capitale, e che dopo anni di batti e ribatti, di crisi e controcrisi, di scossoni e contro-scossoni, ha accettato di aprirsi ancora di più al mercato vendendo a un fondo americano, Kkr, la sua rete, una rete strategica, quella da cui passano informazioni preziose, delicate, che gli amici di Marine Le Pen definirebbero strategiche e sovrane, e che invece il governo italiano ha accettato di vendere anche per permettere a Tim di provare a vivere senza più un debito mostruoso sulle spalle. Valore dell’operazione: tra i 18 e i 19 miliardi, riduzione del debito di Tim pari a circa 14 miliardi. Si dirà: buone notizie, e qual è il problema, qual è la questione? Il tema c’è, è doppio, è sfizioso e se siete sovranisti, e magari follower di Le Pen, vi consigliamo di proseguire con la lettura di questo articolo solo se avete uno stomaco forte e solo se le giravolte non vi danno troppo alla testa. Perché la doppia storia di Ita e di Tim è una storia fantastica per l’Italia, per Giorgia Meloni e per il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti perché, tanto per cominciare, il governo che doveva essere in discontinuità con il governo Draghi sta portando avanti due operazioni che il governo Draghi ha provato a realizzare senza successo, e anzi persino fallendo (sia su Tim sia su Ita). Ed è una storia fantastica perché se la Giorgia leader di Fratelli d’Italia vedesse ciò che sta facendo in economia la Meloni capo del governo la accuserebbe come minimo di svendere il paese, di calare le brache, di regalare l’Italia ai tedeschi, di cedere ai ricatti dei fondi speculativi. “Mi auguro che il presidente Draghi smentisca l’ipotesi di un’accelerazione del processo di vendita di Ita a Lufthansa”, disse Meloni il 2 agosto del 2022.


 “Si fa presente ai signori della Lufthansa che non siamo sotto il dominio del Reich tedesco”, disse nello stesso giorno l’allora fido Fabio Rampelli. E invece oggi tutto l’opposto, per fortuna, molto draghismo e poco lepenismo, almeno su questi dossier industriali. Si potrebbe concludere il nostro ragionamento così, limitandoci a segnalare l’ennesima formidabile incoerenza meloniana (in campagna elettorale, il responsabile innovazione di Fratelli d’Italia, Alessio Butti, oggi sottosegretario di stato alla presidenza del Consiglio, aveva proposto di nazionalizzare Tim, oggi Cdp accetta che Tim venga venduta a un fondo americano), limitandoci a segnalare la distanza che c’è tra la Meloni di ieri e quella di oggi (per fortuna), limitandoci a segnalare quanta distanza ci sia tra il modello Le Pen (mercato no, per carità) e il modello Meloni (mercato perché no).

Ma in questa storia italiana, in questa storia di aziende italiane che trovano la forza anche con la collaborazione del governo di attrarre capitali nel nostro paese, c’è in fondo il film di tutto quello che il governo dovrebbe provare a fare in una fase storica come quella attuale in cui vi sono pochi paesi che possono garantire agli investitori una parola sempre più rara a preziosa: stabilità. E piuttosto che fare della Francia che si sposta verso Le Pen un modello da seguire, da coccolare, da abbracciare, da imitare, l’Italia meloniana dovrebbe trovare il coraggio di tenere la barra dritta, come si dice, e di presentare il proprio  paese sulla scena internazionale come un’alternativa al disordine francese, a quello tedesco e forse in prospettiva anche a quello americano. E da questo punto di vista, vedere un governo guidato da forze politiche che in passato hanno masticato con disinvoltura il nazionalismo che si ritrova a chiudere, tramite Ita, un lungo capitolo politico dell’Italia dove hanno dominato il nazionalismo, il sovranismo, il corporativismo è uno spettacolo che ci fa tirare un sospiro di sollievo e che ci fa ricordare che per fortuna l’angosciante Francia populista, protezionista, sovranista e nazionalista forse è vicina quando si ragiona sulle parole ma per fortuna è lontana quando si ragiona sui fatti. Sovranisti di tutto il mondo, disunitevi e fateci godere.
 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.