(foto EPA)

Chi si allontana dall'Ue si fa male

I paesi travolti dal populismo sanno guarire? Cosa possono insegnare alla Francia il caso inglese e italiano

Claudio Cerasa

Ciò che unisce l’Italia e il Regno Unito non riguarda la stabilità dei governi ma la capacità simmetrica di due paesi scossi da uno tsunami populista di provare a fare i conti con la realtà. Lezioni per Parigi

Si è scritto spesso, in queste settimane, che nelle tornate elettorali di Francia e Regno Unito c’è qualcosa, tra le righe, che ricorda l’Italia. Si parla d’Italia, in Francia, perché c’è chi spera che in caso di affermazione del partito guidato da Jordan Bardella vi sia una sorta di melonizzazione dei lepeniani: populisti all’opposizione, pragmatici al governo. Si parla d’Italia, in Francia, perché c’è chi sostiene, come ha scritto per primo Politico, che in caso di stallo nella formazione del governo, in caso cioè di assenza di maggioranzachiara, potrebbe farsi largo l’opzione molto italiana di un governo di emergenza guidato dagli esperti. Si è parlato a lungo d’Italia, in Inghilterra, in questi anni, perché, proprio come è spesso capitato in Italia, la stabile Inghilterra, sotto il dominio dei Tory, dopo la Brexit è diventata molto simile alla vecchia Italia: dal 2016 a oggi ha avuto cinque primi ministri, lo stesso numero di primi ministri che aveva avuto nei venticinque anni precedenti.

 

Ma la vera ragione per cui bisognerebbe forse parlare d’Italia, osservando la pazza traiettoria francese e quella più rassicurante inglese, riguarda un tema interessante, che accomuna l’Italia e il Regno Unito, e che coincide con una possibile risposta a una domanda complessa: un paese che viene travolto dal populismo può guarire oppure no? Ciò che unisce l’Italia e il Regno Unito non riguarda la stabilità dei governi ma riguarda la capacità simmetrica di due paesi scossi da uno tsunami populista di provare a fare i conti con la realtà. L’Italia ha avuto il governo gialloverde, un governo ultrapopulista all’interno del quale numerosi esponenti politici avevano tifato per la Brexit, e il Regno Unito, ovviamente, ha avuto la Brexit, i cui effetti si sono andati a distribuire nel tempo. Ad aprile, Bloomberg ha calcolato che durante i dieci anni precedenti al referendum sulla Brexit, il pil dell’Ue è rimasto indietro rispetto al Regno Unito di 12 punti base all’anno. Dopo la Brexit, l’economia dell’Unione europea ha invece cominciato a crescere più velocemente di quella del Regno Unito. Le proporzioni della crescita sono queste: il pil dell’Unione europea, dal 2016 al 2023, è cresciuto del 24 per cento, quello del Regno Unito del 6 per cento.

I Tory, i principali sostenitori dell’uscita del Regno Unito, alle urne hanno pagato anche questo, la gestione della Brexit. E a prescindere dai consensi incassati da Keir Starmer, la classe politica che si presenta ai blocchi del governo inglese sa, come quella italiana, che quando un paese europeo viene travolto da una forma di populismo che lo allontana dall’Europa prima o poi dovrà fare dei passi per tornare sulla sua strada. L’Italia lo ha fatto trasformando una stagione, quella durante la quale l’antieuropeismo, la vicinanza alla Cina e la lontananza dall’America hanno rischiato di far deragliare il treno italiano in uno stigma assoluto, in un periodo così tossico da aver spinto persino Meloni a far di tutto per dimostrare di essere tutto tranne che una replica di quel governo. Il Regno Unito, dopo aver fatto passi indietro sul programma Horizon Europe, sul programma Copernicus, sulla collaborazione con Frontex, è verosimile faccia una piccola marcia indietro (senza rimangiarsi Brexit) compiendo con il nuovo governo passi verso l’Europa sul commercio, la ricerca e la sicurezza. Il percorso dell’Italia e del Regno Unito, in fondo, ci dice due cose. Chi si allontana dall’Europa oltre a fare il gioco di Putin (il presidente russo ha fatto arrivare due giorni fa i suoi auguri a Le Pen, con tanto di foto postata sui social insieme) si scotta. E  chi si avvicina all’Europa sfidando i troll del populismo ne trae beneficio (dopo Brexit, il pil di un paese come la Grecia, che si è avvicinato sempre di più all’Europa, è cresciuto a un tasso annuo dell’1,53 per cento, quello del Regno Unito dello 0,7 per cento). Sarà solo un caso ma oggi i paesi più in salute, in giro per l’Europa, sono quelli che dopo aver testato il populismo si sono organizzati per provare a renderlo innocuo. Ieri in Italia, oggi in Inghilterra, domani forse in Francia.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.