Il racconto

Salvini si gode i Patrioti orbaniani e avverte Meloni: "Il sì a Ursula è l'inizio della sua fine"

Simone Canettieri

Sconfitto a Parigi, ripiega subito su Bruxelles: il suo nuovo gruppo supera quello dei Conservatori della premier. La leader di FdI alle prese con il dopo Francia e le trattative per il commissario Ue, mentre l'alleato scalpita

“Noi siamo una cosa diversa”. Giorgia Meloni lo dice ai suoi collaboratori prima di partire per Washington. E forse lo dice anche a se stessa per dissimulare rammarico e ira. Il gruppo dei Patrioti orbaniani ha preso forma a Bruxelles, ha scavalcato i suoi Conservatori per numero di eurodeputati. Matteo Salvini poi, sì sempre lui, ha diffuso una clip per esultare al sorpasso, ha attaccato gli “inciuci” e ha riunito la delegazione leghista di governo.  


Il giorno dopo il voto in Francia la linea di Palazzo Chigi è quella dei distinguo acrobatici: il fronte anti Le Pen non darà stabilità a Parigi, ma la sconfitta del Rassemblement national incorona Fratelli d’Italia, e la sua leader, come un’anomalia positiva: siamo l’unica destra di governo. Servono doti da trapezisti, in giornate come queste. Giornate ingarbugliate. Anche perché in maniera parallela, silente e sotterranea c’è sempre quella cosuccia che bolle in pentola: la trattativa per il commissario europeo, con portafogli di peso e vicepresidenza operativa annessa. In cambio, certo, di un voto “segreto” all’Eurocamera per Ursula von der Leyen II, la vendetta. Tutto galleggia, molto è ancora sospeso. Anche perché questo è il lunedì del pendolo di Salvini, sconfitto in Francia dopo tanti post “per Marine e Jordan”, ma subito in grado di virare, oplà, su Bruxelles. Ha regalato al suo generale Roberto Vannacci un altro pennacchio: ora è fra i sei vicepresidenti del gruppo dei Patrioti. In più il vicepremier  ritrova Le Pen e abbraccia anche Vox di Santiago Abascal, il cugino di Spagna di “Yo soy Giorgia”. Forte di un risultato, in termini di numeri, che definisce “storico”. E poco importa se difficilmente anche questa volta il cordone sanitario intorno a questo gruppo di destra-destra sarà un tappo per presidenze di commissioni e vicepresidenze del Parlamento (FdI ne reclama ben due, in virtù degli equilibri di quando si sono costituti i gruppi). 


Meloni, anche se gli orbaniani-lepenisti le mandano messaggi di fumo, si dice sollevata perché sulla guerra in Ucraina e sul rapporto con Mosca “loro” sono ambigui, i suoi Conservatori no. Concetto che il conservatore ceco Petr Fiala esterna senza giri di parole: “Chiamiamo le cose con il loro nome. I Patrioti per l’Europa servono gli interessi della Russia, consciamente o inconsciamente. E così minacciano la sicurezza e la libertà dell’Europa”. La premier è convinta di poter contare nel Consiglio europeo sempre su un gruppo di tre capi di stato e di governo (lei, il ceco e il belga) e in più di avere un piede nel governo svedese a cui Ecr dà l’appoggio esterno. Si cerca dunque di osservare e soppesare il bicchiere mezzo pieno, anche se tale non sembra perché intanto c’è sempre Salvini, indomito e in moto perpetuo, che si gode l’operazione: ha lasciato assieme a Le Pen la famiglia di Id, ha preso le distanze dai tedeschi dell’Afd e intanto fa dire che insomma il ponte con Meloni ed Ecr “resta”. Ma con questa mossa il vicepremier già pensa alla prossima. Al megafono che prenderà per urlare il suo sdegno qualora, anche se mancherà la prova regina, Fratelli d’Italia dovesse votare nel segreto dell’urna il sì a Ursula. “Sarebbe l’inizio della fine di Giorgia”, è il Salvini-pensiero trapelato a margine della riunione avvenuta alla Camera con ministri e sottosegretari del Carroccio. Il capo della Lega scommette, ma forse vorrebbe il contrario, sull’astensione: “Un gesto politico”. Anche se a Strasburgo equivale a un voto contrario. 
E allora eccolo Salvini in purezza mentre scrive la didascalia del nuovo gruppo di cui fa parte con la sua pattuglia di eurodeputati. Fra le righe c’è un avviso alla premier: “Nasce per contrastare ogni inciucio coi socialisti filoislamici, filocinesi, gli estremisti del Green deal, delle auto elettriche a ogni costo”. Si capisce alla fine, come la metti la metti, che è un giorno complicato per Fratelli d’Italia: il partito è diviso sull’analisi del voto francese e soprattutto si cerca di capire anche le conseguenze sulle trattative europee. Macron esce indebolito, anche se salvo? Se avesse vinto Rn sarebbe stato meglio? E cosa cambia ora? Per una, come Meloni, abituata a lavorare su piani e scenari sono pensieri che si affastellano nella testa in queste ore senza trovare una via di uscita chiara. Di sicuro c’è l’attivismo di Salvini, che sovrasta quello di Forza Italia ieri in conclave con Antonio Tajani per il consiglio nazionale azzurro. La riunione con tutti i ministri e la squadra di sottogoverno si è svolta, raccontano ma chissà, in un clima più che pacificato. “Matteo aveva l’aureola”. Dunque in modalità santo e non Papeete. Perfino il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, alle prese già con la manovra che verrà, viene descritto “meno preoccupato del solito”. Convinto, ha detto, che i soldi si troveranno. Un giro di tavolo, durato un’ora e mezza, per fare il punto sul lavoro dei vari dicasteri leghisti. Sono giorni di navigazione a vista. Meloni deve tenere unito ciò che l’Europa sta dividendo: la sua coalizione.
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.