Il racconto

"My name is Lollo": il ministro studia l'inglese. È il piano B di Meloni come commissario Ue

Simone Canettieri

Fitto è il candidato ideale per Bruxelles, ma molto dipende ancora dal portafoglio che avrà e dalla sostituzione a Roma. Così spunta la carta Lollobrigida, che ora prende lezioni di inglese ogni giorno

Lo cercano i parlamentari di Fratelli d’Italia. Lo reclamano i dirigenti del suo ministero. “Ora non posso”. Francesco Lollobrigida nell’ultimo mese ha intensificato le ripetizioni di inglese. Un appuntamento quasi quotidiano, e tutti i giorni per diverse ore. Parla, scrive e ripete con un’insegnante madre lingua. “My name is Lollo”. Lo ha confessato lui stesso a qualche collega di governo: nell’ultimo periodo il super ministro di FdI ha deciso di dedicarsi alla lingua più parlata del mondo, a scapito anche della palestra (attività a cui si dedica la mattina all’alba). L’inglese è anche la lingua di Bruxelles. E questo dettaglio accende subito una suggestione: che sia il titolare dell’Agricoltura il piano B di Giorgia Meloni per la casella di commissario europeo? Risposta: sì. Come si sa – anche con il rischio di essere bruciato secondo la secolare regola dei conclavi – la carta non più coperta della premier è Raffaele Fitto, uomo di relazioni e mediazioni, da sei anni gps meloniano nelle istituzioni brussellesi. E’ il candidato naturale, uno che dà del tu a Ursula von der Leyen e che conosce di persona più della metà, se non tutti, dei membri del Consiglio europeo. Un democristiano, si direbbe per scorciatoia semantica, che tanto ha brigato per sbarrare la strada all’ingresso di Viktor Orbán nei Conservatori, partito che conosce come le tasche dei suoi pantaloni (ora di un paio di taglie più piccole da quando si è messo a dieta). E però nell’incastro delle trattative per il portafoglio del commissario italiano e in attesa di sciogliere la riserva sulla posizione che terrà FdI a Strasburgo, la premier accarezza un piano alternativo a Fitto: Francesco Lollobrigida.  

 


Il quale, da subito dopo le elezioni europee, è alle prese con una scorpacciata di lingua di Shakespeare. E dunque: essere o non essere commissario? Questo è il problema. Di sicuro c’è da superare un’audizione in inglese con i componenti dell’omologa commissione parlamentare (quella dell’Agricoltura, per dire, ieri è andata ai Conservatori in cambio di quella sui diritti finita al Ppe). E il precedente  del respinto Rocco Buttiglione nel 2004 – una sorta di Corea politica per l’Italia – sta sempre lì, a imperitura memoria. Dunque non si sa mai: se Lollobrigida dovesse entrare in partita ha bisogno di tutti gli strumenti linguistici per sostenere un’audizione orale e semmai un test scritto, seguito nel peggiore dei casi da un test orale. E’ ovvio che il compagno di una vita di Arianna Meloni, nonché dirigente apicale del “partito della nazione” sarebbe il naturale commissario all’Agricoltura (che per i prossimi cinque anni avrà anche ulteriori competenze come nutriscore, etichettatura e sicurezza alimentare). 


Nulla è deciso, sono ancora tante le variabili. A Bruxelles, certo. Ma anche a Roma, a Palazzo Chigi. La premier sa che è più facile trovare un altro ministro dell’Agricoltura (magari il senatore Luca De Carlo) che un altro Fitto che oggi si occupa di Affari europei, Sud, politiche di coesione e, soprattutto, Pnrr con un potere, una capacità di manovra e di incisione sulla realtà che lo eleva quasi a un vicepremier. Certo, tutto si risolve e si appiana quando ci sono da riempire caselle di potere. 


Tuttavia Meloni vuole avere diversi forni da accendere alla bisogna nella trattativa con Ursula von der Leyen. E “Lollo”, lo stratega della real casa nonché idolo della Coldiretti e dei trattori italiani, è un nome su cui puntare. Un profilo politico opposto a quello di Fitto che, in caso di voto non favorevole a von der Leyen saprebbe anche gestire il ruolo di commissario “d’opposizione”. Nel dubbio, si sta dando allo studio matto e disperatissimo dell’inglese. Che nella vita, comunque vada, può sempre servire. Salvo nel giorno della fine, come cantava Battiato. 

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.